Federico Rampini Dazi
La nuova guerra fredda Usa-Cina sulle tecnologie incrocia la visita di Sergio Mattarella negli Stati Uniti, da martedì a venerdì. Proprio mentre sul fronte dei dazi si è registrata una prima schiarita tra le due superpotenze, un comunicato della Casa Bianca inserisce la delicata questione della “sicurezza nelle telecom” tra i temi dell’incontro bilaterale con Donald Trump. Nell’agenda dell’incontro fra i due presidenti, la mattina del 16 alla Casa Bianca, gli americani citano insieme a tanti temi prevedibili (Nato, Mediterraneo) anche “la quinta generazione della telefonia mobile”. Cioè il caso-Huawei, il campione cinese nelle tecnologie avanzate, contro il quale Washington ha decretato un vero e proprio embargo; oltre a volere l’estradizione della direttrice finanziaria dell’azienda arrestata quasi un anno fa in Canada. Dopo il bastone spunta la carota: oltre ad esercitare forti pressioni sugli europei perché chiudano le porte alla tecnologia cinese nel 5G, gli americani sembrano disposti a finanziare fornitori alternativi come Ericsson e Nokia. Venerdì sera i mercati finanziari e le multinazionali s’interrogavano sulla portata della tregua sul fronte dei dazi. Trump ha enfatizzato soprattutto le promesse cinesi di aumentare gli acquisti di derrate agricole: fino a 50 miliardi, che sarebbe il triplo del valore annuo medio nell’era pre-dazi. Non è chiaro però su quale periodo di tempo i cinesi “spalmeranno” quegli acquisti. Inoltre non si tratta di una vera concessione: in realtà la Cina ha bisogno d’importare derrate alimentari, e soffre per un’acuta penuria di carne suina in seguito ad un’epidemia che ne ha decimato gli allevamenti. Altri temi sui quali Trump ha vantato risultati positivi includono “il trasferimento di tecnologie; la valuta”. In virtù di questo accordo non ci sarà l’ulteriore aumento dei dazi americani che doveva scattare questo martedì, dal 25% al 30% su 250 miliardi di merci. È stato però escluso esplicitamente dall’accordo proprio il caso-Huawei. Il capo dei negoziatori americani, Robert Lighthizer, ha detto che non verranno allentate le restrizioni sul colosso cinese delle telecom. A tenere i fari accesi su Huawei c’è anche l’opposizione democratica. Il capogruppo democratico al Senato, Chuck Schumer, ha esortato la Casa Bianca a «non fare concessioni su Huawei». È da oltre un anno che l’Amministrazione Usa cerca di costruire un cordone sanitario attorno a Huawei. La ragione: l’azienda cinese ha conquistato il 28% del mercato mondiale nelle infrastrutture telecom (come i ripetitori della telefonia mobile, le centraline), ma ha una quota superiore nel 5G che è la tecnologia del futuro. Il 5G può arrivare a una velocità di collegamento e circolazione dati che sarà fino al centuplo rispetto agli standard del Wi fi nella quarta generazione. Apre enormi potenziali per gli usi di Internet. Ma consegnare il futuro nelle mani di un’azienda cinese – legata a doppio filo col governo di Pechino e perfino con le sue forze armate – è un errore fatale. Huawei viene visto come un cavallo di Troia per ogni sorta di attività spionistica. Questo allarme cominciò sotto l’Amministrazione Obama. Perciò non è solo Trump ma l’intero establishment americano che preme sugli alleati europei per fermare Huawei. Con alterni successi. L’Unione europea ancora non ha adottato una linea precisa né potrà necessariamente imporla a tutti gli Stati membri. L’Amministrazione Usa ha un punto debole nella sua campagna anti-Huawei: l’assenza di valide alternative. L’industria, un tempo numero uno, ha accumulato ritardi in questa tecnologia. Giganti della Silicon Valley come Oracle e Cisco si sono chiamati fuori. Perciò Washington sta pensando di finanziare le alternative europee, cioè Ericsson e Nokia. Le scelte sull’ammodernamento della rete telecom sono di competenza del governo italiano e la Casa Bianca dovrebbe sapere che non dipendono da Mattarella. Tuttavia approfitta della sua visita per ribadire che questo è un terreno minato. In particolare dopo la firma del Memorandum sulle Nuove Vie della Seta fra Xi Jinping e il primo governo Conte.