Fedrerico Massaro

C’è una partita finanziaria che vale 280 milioni dietro il braccio di ferro politico su Conte e Retelit. Nel mirino c’è il decreto del Conte 1 del 7 giugno 2018 che applica il golden power, ovvero un vincolo speciale del governo su società strategiche, a Retelit, media società di comunicazioni e fibra ottica. L’azienda era appena passata sotto il controllo di una cordata libico-tedesca, che aveva sconfitto il finanziere Raffaele Mincione (che — ha svelato lui stesso — usava soldi del Vaticano). Conte si astenne e non partecipò al Consiglio dei ministri per non trovarsi in conflitto di interessi: questo perché, pochi giorni prima, da avvocato, aveva rilasciato alla società Fiber 4.0 di Mincione un parere in cui dichiarava che la legge sul golden power poteva essere fatta valere su Retelit, in quanto non era stato comunicato al governo che il controllo era passato alla società libica di Stato Lptic e ai tedeschi del fondo Axxion. Il 4 dicembre al Tar del Lazio si discuterà il ricorso. Se cancellasse il golden power, in Borsa Retelit volerebbe (ha fatto già +17% nell’ultimo mese e ora vale 280 milioni) e libici e tedeschi potranno venderla a prezzi più alti. Anche a soggetti esteri. A presentare l’esposto, ad aprile 2018, era stato Mincione, per fermare i libici. Un mese dopo chiese due pareri, allo studio Gianni Origoni Grippo Cappelli (Gop), arrivato il 9 maggio, e a Conte. «Abbiamo chiesto un parere a uno studio legale, che purtroppo aveva scritto un’opinione che non andava nella nostra direzione» spiegò Mincione al Corriere lo scorso gennaio, «quindi ci suggerì il nome di un avvocato che aveva la nostra stessa scuola di pensiero. Era quello di Conte. Io non l’ho mai incontrato, l’incarico lo ha dato un mio collaboratore». Dallo studio Gop fanno sapere di non aver dato a Mincione alcun suggerimento sulla opportunità di rivolgersi ad altri avvocati. Sarà stato qualcun altro. I pareri vanno nella stessa direzione: i libici controllano Retelit. Conte fa un passo in più: si può annullare l’assemblea. Proprio quello a cui Mincione puntava. Era il 14 maggio. La sera prima Conte incontrò in un hotel di Milano Luigi Di Maio e Matteo Salvini e divenne premier in pectore di Lega-M5S, come ha ricostruito Quarta Repubblica di Nicola Porro su Rete 4. «Ho accettato l’incarico in un momento in cui io stesso non potevo immaginare che di lì a poco sarebbe nato un esecutivo da me presieduto, che poi sarebbe stato chiamato a decidere su Retelit», ha detto ieri Conte. Per Mincione una coincidenza fortunata.