Ferdinando Giugliano

Mai così tanti hanno combattuto così duramente per così poco. Lo scontro nella maggioranza sulla legge di Bilancio appare incomprensibile prima di tutto perché avviene a poche settimane dalla formazione del nuovo governo, a tutto vantaggio di Matteo Salvini e del centrodestra. Ma è ancora più assurdo perché le forze dell’esecutivo si stanno battendo per cambiamenti che non avranno praticamente nessun impatto sulla direzione di marcia dell’economia. Quest’insensato fuoco di fila conferma piuttosto l’andazzo che ha preso la politica italiana negli ultimi anni: in assenza di risorse a causa degli stringenti vincoli di bilancio, i partiti identificano piccoli gruppi d’interesse che cercano di tutelare o favorire pur di recuperare una manciata di voti. Da destra a sinistra, manca completamente una visione strategica di politica economica. L’Italia dovrebbe avere tre priorità: rilanciare la produttività e la crescita, ferme da un quarto di secolo; ridurre il debito pubblico, per tagliare la spesa per interessi ed eliminare il rischio di crisi finanziarie; ribilanciare le diseguaglianze generazionali che hanno portato all’emigrazione di massa di questi anni. La legge di Bilancio ha il grande merito di aver contribuito alla discesa dei tassi d’interesse sui titoli di Stato, che mette in sicurezza per ora i conti pubblici. Ma fa molto poco su tutti e tre questi obiettivi, poiché la produttività rimarrà al palo, il debito resterà stabile, e altri miliardi verranno sprecati in prepensionamenti attraverso Quota 100. Va detto che era difficile immaginare di meglio da un governo che si è insediato da così poco. Ed è incoraggiante che il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri stia immaginando dei “cantieri” per la revisione di aspetti strategici di politica economica come pensioni e fisco. Ma il triste spettacolo offerto da Partito democratico, Movimento 5 Stelle, Italia Viva e Liberi e Uguali in questi giorni non fa presagire nulla di buono. Con l’eccezione della giusta battaglia portata avanti da Matteo Renzi per l’abolizione di Quota 100, i partiti stanno perdendo tempo su argomenti marginali, come la soglia per l’uso del contante, le multe ai commercianti che non accettano pagamenti elettronici, e i criteri di accesso per le partite Iva al regime forfettario. Sono temi su cui è legittimo avere posizioni diverse, ma restano topolini rispetto agli elefanti della produttività, del debito e della questione generazionale. In questo, il governo giallo-rosso non si distingue da molti dei suoi predecessori. Lega e 5 Stelle avevano promesso un vasto programma fatto di corposi tagli di tasse, robusti piani d’investimento, e deficit pubblico alle stelle, ma dopo essersi scontrati con la realtà dei mercati finanziari hanno finito per distribuire qualche vantaggio a un po’ di pensionandi, lavoratori autonomi e aspiranti navigator. Matteo Renzi aveva avviato un programma di revisione della spesa con l’idea di tagliare il cuneo fiscale in modo strutturale: alla fine, gli unici veri risparmi che è riuscito a trovare sono stati quelli sulla spesa per interessi, grazie agli acquisti di titoli di Stato da parte della Banca centrale europea. In assenza di una visione strategica, l’Italia è condannata a restare una zattera in balia di forze esterne – talvolta sospinta da una politica monetaria favorevole, talaltra bloccata dai venti delle guerre commerciali. Tra un inutile litigio e l’altro, non saremo mai un Paese capace di riprendere in mano il proprio destino.