Filippo Facci

«Psi-Italia Viva» è un esempio di ossimoro, figura che accosta concetti opposti: e qui,in effetti, abbiamo qualcosa che dovrebbe essere vivo accostato a qualcosa dovrebbe essere morto, o almeno lasciato in pace. Il tombarolo e imbalsamatore in questo caso in chiama Riccardo Nencini, unico senatore del fantomatico «Psi», uno che ora, finalmente, grazie a una fusione coi renziani, potrà avereunaformazioneautonoma (un gruppo parlamentare al Senato) dopo vent’anni di gruppo Misto. I socialisti – chiamiamoli – non avevano un loro gruppo parlamentare dal 1994-1996, dodicesima legislatura. Hanno avuto degli eletti nelle Camere, ma non erano mai abbastanza peravere unaformazione tutta loro. Ora però, appunto, sono arrivatigli scissionisti del Partito democratico chehannoiniettato sangue vivo nell’unico senatore «Psi» (virgolette obbligatorie) che potrà ossequiarsi al regolamento del Senato, secondo il quale possono nascere solo dei gruppi di forze che si sono presentate alle elezioni. Al Senato. Alla Camera invece la norma non è prevista, e i renziani di «ItaliaViva»formeranno il loro gruppo senza bisogno di fusioni imbarazzanti per tutti: perRenzi, perNencini – che evidentemente se ne frega – e soprattutto perla storia del Partito Socialista italiano, oltreché che perla pubblica decenza. L’operazione politica ha una sua logica e peròfa schifo lo stesso. I «socialisti» (virgolette obbligatorie) si sono affrettatia specificarein una nota del segretario (hanno anche un segretario, si chiama Enzo Maraio, mentre Nencini è presidente) che loro non si fonderanno con i renziani: «Manterremo la nostra autonomia politica e la nostra identità», hanno scritto. Pensano quindi di avere un’autonomia politica e un’identità. Hanno anche garantito che «il sostegno al governo giallorosso rimane responsabile e leale. Il gruppo parlamentare avrà un taglio riformista che rafforzeràla nostraazione politica, nell’ottica dell’allargamento del centrosinistra». Tutto questo sarebbe Nencini: responsabile, leale, taglio riformista, azione politica, allargamento del centrosinistra.Nencini. In concretoavere un gruppo significa avere una segreteria, un po’ di soldi, un paio di stanze, queste cose. Potete immaginare, per il resto, quanto gliene possa fregare ai renziani del taglio riformista (dal barbiere, forse) e dell’identità politica di chi non ne aveva una neanche prima, visto che da tempo in Parlamento i «socialisti» non solo non esistono (cioè sarebbero Nencini) e non solo meritano le virgolette, ma forse meritano solo queste, tipo « ». BANALITÀ Le considerazioni da fare sono quindi un po’ come Nencini:estremamente banali. Infondo c’è solo da chiedersi se il nome e l’identità socialista (senza virgolette) nonvalgano un po’ di più di una parte dei soldi che il neo gruppo «Psi-Italia Viva» (l’ossimoro) percepirà. Ma è una domanda oziosa, in quella pietraia a cui è ridotta la politica intesa anche come somma di idee. In secondo luogo c’è un tizio meno banale, Matteo Renzi, sulla cui compatibilità con l’identità socialista è lecito interrogarsi. Intervistato da Fabio Fazio nell’ottobre 2014, chiesero a Renzi se preferivaCraxi o Berlinguer. «È una risposta facile», tagliò corto il toscano ex democristiano:Berlinguer,inteso come Enrico. Cioè: il decisionista Renzi non preferiva il Craxi del turbo-decreto di San Valentino (1984) o la risposta di lotta dura del referendum voluto da Berlinguer e dalui perso clamorosamente nel 1985; preferiva il Berlinguer della tradizione sconfitta dalla Storia, quella di Gramsci e Togliatti,l’icona,l’immaginetta. BettinoCraxiinvece rappresentava Filippo Turati, Giuseppe Saragat, Pietro Nenni e tutto ciò che nella Storia aveva vinto ed era stato ormai metabolizzato: senza contare che Renzi, mentre parlava, risultava aderente ai Socialisti europei. Non solo. Due anni prima, da sindaco di Firenze, aveva detto che non avrebbe dedicato una via a Bettino Craxi (proposta dal Pdl) perché la cosa non aveva «un valore pedagogico». Gli chiesero pure se avrebbe dedicato unavia, damorto, a SilvioBerlusconi: rispose di no. Parlava mentre a Firenze c’era viale Togliatti e in altre località della Toscana c’erano strade dedicate a Ho Chi Min. Gli chieseroalloraachi si poteva dedicare una via, lui rispose «Iqbal Masih». L’avevamo tutti sulla punta della lingua. IL CONFRONTO Comodomoralismo opportunista, quello di Renzi? Non diamo risposte affrettate, ma sì: certo che lo è. Perché col cacchio che Renzi in realtà preferisse o preferisca Berlinguer. Lo dimostra un dettaglio gustoso. Nell’ottobre 2015,mentreil quotidianoRepubblica cercava di recuperare copie con una clamorosa operazione-nostalgia verso Enrico Berlinguer (non andò tanto bene) L’Unità neo-renziana faceva il contrario: pubblicò con grande evidenza un articolo dell’85enne Biagio De Giovanni secondo il quale Berlinguer, oggettivamente, aveva preso delle topiche colossali, tanto che aveva predetto il declino del capitalismo poco prima «della più grande rivoluzione capitalistica di tutti i tempi». Sarà un caso. E dovremmo credere che Renzi, rispetto al riformismo craxiano preferisse e preferisca la stessa sinistra da cui ora sta fuggendo con tanto di scissione: quella di Berlinguer, che storicamente perse il referendum sulla scala mobile, scelse di non schierarsi con gli Usa e flirtò semmai con i sovietici che intanto puntavano missili nucleari contro il nostro Paese, non volle trattare durante il rapimento di Aldo Moro, rifiutò ogni autonomismo e ogni riformismo che erano appunto cavalli di battaglia dell’odiato Craxi. Cioè: Craxi no, Nencini sì: dovremmo credere questo.Ma si può credere qualsiasi cosa, nel Paese in cui ancoraRenzieancora suRepubblica– sempreper quellacampagna nostalgica del 2015 – riuscìadireche Berlinguer «è stato il leader che per primo ha portatola sinistraitaliana dalla parte giusta della storia». Cioè il contrario della verità. Berlinguer oltretutto era quello che si schierò contro gli euromissili, che cercò di salvaguardare lo zoccolo duro comunista ma che perse di vista i ceti emergenti, che rimase comunista («l’eguaglianza è molto più importante della libertà») e non si staccò mai del tutto dall’abbraccio con Mosca, anche perché sennò i rubli non sarebbero più arrivati. Ma parliamo dell’oltretomba, siamo sottoterra: torniamo sulla Terra, torniamo al presente e torniamo – diosanto – a Nencini, perché questi sono i politici di oggi. Che resta da dire? Niente. «Speriamo che almeno Renzi chieda scusa per aver detto che la via a Craxi non era pedagogica», ci dice Stefania Craxi, che invece, su Nencini non vuole dire una parola. Segno che vorrebbe dirne troppe.