Filippo Santelli
Chiede tempo Luigi Di Maio. Il ritardo accumulato negli anni nei rapporti con la Cina, rispetto ai vicini e concorrenti europei, non si recupera in un attimo. «Il 2020 è l’anno in cui raccoglieremo i frutti della nostra adesione alla Via della seta», ha assicurato ieri il ministro degli Esteri, nel primo dei due giorni che trascorrerà a Shanghai. Finora, dati alla mano, i benefici per l’Italia di quella discussa firma sono stati minimi. Ma il viaggio di Di Maio, iniziato con un incontro con l’omologo cinese Wang Yi, ha l’obiettivo di «accelerare». Su che aspetti? Il primo sono nuovi dossier agroalimentari, da chiudere entro l’inizio del prossimo anno: dopo le famose arance via aereo, si lavora al via libera all’export della carne bovina (varrebbe 300 milioni di euro) e a quello del riso da risotto (decine di milioni). Il secondo è il turismo. Di Maio vuole dedicare il 2020, 50° anniversario dei rapporti bilaterali, una visita di Sergio Mattarella già in programma, agli scambi culturali: «Con Wang ci siamo detti che bisogna rinegoziare l’accordo sulle rotte aeree — ha detto Di Maio — voglio portare molti più cinesi a visitare le nostre bellezze». Gusto e bellezza, per recuperare posizioni con la Cina l’Italia punta sul classico. E lo farà anche oggi per corteggiare il padrone di casa Xi Jinping. Quando il presidente passerà al padiglione tricolore, durante il tour del grande Expo di Shanghai, Di Maio gli regalerà una maglia della nazionale, giocando sulla sua passione per il calcio, e proporrà un brindisi al prosecco. Resta il fatto che turismo e agroalimentare non sembrano poste in grado di riequilibrare l’interscambio tra Italia e Cina, né a farci colmare il gap con gli altri Paesi europei. Anzi. Basta un aereo venduto dai francesi di Airbus o uno stabilimento chimico della tedesca Basf per battere tonnellate di carne o riso. L’impressione è che i dossier più ricchi e strategici siano spariti dalle nostre trattative lungo la Via della seta e dalle parole di Di Maio, forse perché sono anche i più delicati da gestire in mezzo alla Guerra fredda tra Washington e Pechino. Di investimenti cinesi in Italia non si è discusso, né di cooperazione infrastrutturale in Paesi terzi, né di tecnologia. Sul 5G Di Maio non si è esposto. I due hanno invece parlato di Libia, Siria e riforma del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Con buona sintonia, riferisce chi c’era. Al nostro ministro degli Esteri viene riservato in via eccezionale un trattamento da capo di Stato: ieri sera ha partecipato alla cena offerta da Xi Jinping al Fairmont Peace Hotel, lussuoso albergo art deco. Oggi terrà un intervento alla cerimonia di apertura dell’Expo, dopo Xi e i leader di governo. Durante il loro colloquio di ieri Wang ha scherzato con il leader 5Stelle, dicendogli che è merito suo se a marzo Xi Jinping ha deciso di visitare prima l’Italia e poi la Francia. Segnali di amicizia. Eppure l’impressione è che, agli stessi occhi della Cina, il peso di Berlino e Parigi resti sopra quello italiano. Ieri a Shanghai è arrivato Emmanuel Macron, che userà questa visita per riproporsi come il campione di un fronte europeo unito nelle trattative con Pechino. E segnerà un successo, proprio nell’agroalimentare: domani, oltre a 40 contratti per le imprese francesi, firmerà con Xi un accordo sulla protezione di cento indicazioni geografiche tipiche comunitarie, trattativa che si trascinava avanti da anni. Se non altro 26 sono italiane, dall’aceto balsamico alla mozzarella di bufala.