Flavia Amabile Giovannini

Enrico Giovannini, docente di Statistica all’università Tor Vergata di Roma e Portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, è stato ministro del Lavoro e presidente dell’Istat. Mancano almeno 160mila laureati nei prossimi cinque anni rispetto alle richieste che arrivano dal mondo del lavoro. Che vuol dire per l’Italia? «Il nostro paese sembra incapace di programmare il suo futuro. Sapevamo da anni che, per esempio, nel settore della salute ci sarebbero mancate migliaia di figure adeguate. Sappiamo da anni che il boom dei dati avrebbe richiesto figure specializzate per trattarli, ma il modo in cui il nostro paese ha affrontato queste tematiche mi ricorda la canzone dei Pooh “Ci penserò domani”». 160mila laureati in meno vuol dire 160 mila posti di lavoro vuoti. «Sarebbe necessaria una risposta da parte del governo ma ci vorrebbe una programmazione che non siamo stati capaci di fare, senza parlare del fatto che alcuni provvedimenti come “Quota 100” stanno aumentandoiproblemiinvecedi risolverli, in particolare nel settore della salute e dell’istruzione». Perché l’Italia ha un numero così basso di laureati? «L’Italia ha pochi laureati, e oltretutto pochi nei settori cruciali, perché ha investito molto poco nell’università. E le università hanno reagito con il numero chiuso, in particolare in alcuni settori. Forse sarebbe stato preferibileadottareilnumerochiuso in facoltà come Scienze della comunicazione più che a medicina. Numero chiuso e assenza di fondi per diritto allo studio per chi ha difficoltà economiche ha prodotto un numero di laureati inferiore al fabbisogno. Se non si interviene fra cinque anni saremo sempre quiaaffrontarelostessoproblema». Nella carenza di laureati ha un ruolo anche il modello di laurea 3+2 su cui in molti hanno perplessità? «Il 3+2 ha un duplice scopo: con la laurea magistrale si vuole elevare competenze e cultura media della popolazione, con i due anni di specialistica chi è in grado e ha possibilità economiche puòandare avantiperacquisire competenze specialistiche. Le carenze di cui abbiamo parlato fanno sì che la laurea magistrale non riesca a svolgere il suo ruolo limitando anche la funzione dellaspecialistica». Molti laureati preferiscono andare a lavorare all’estero. «A parità di condizioni un dottore di ricerca che va all’esteroguadagnamilleeuro in più al mese, in che segnala una scarsa capacità del nostro sistema produttivo ad utilizzare questo capitale che è stato formato dal sistema italiano. Oltretutto in Italia per le progressioni di carriera si tende spesso a valorizzare più l’anzianità che la qualità. È in parte il frutto di una struttura produttiva dove dominano le piccole imprese con produttività inferiore alle grandi imprese e quindi la tendenzaapagare salariinferiori». L’Italia ha anche un numero eccessivo di diplomati. Come mai? «Il mondo del lavoro chiede sempre di più persone che non solo hanno conoscenza tecnica di un certo tipo, ma hanno la forma mentis per lavorare in modo trasversale. È il tipo di cultura che dobbiamo preparare anche nelle scuole tecniche. Nelle scuole meno professionalizzanti, invece, vanno preparatelepersoneal saltoculturale che alcuni faranno nelle università. Tutto questo manca, abbiamo bisogno di una formazione adatta al ventunesimo secolo non solo per chi studia, ma anche per i docenti. È un discorso esteso a tutta la filiera dell’istruzione.Sappiamochefrequentare l’asilo influenza significativamentel’apprendimentosuccessivo». In Italia abbiamo provato a introdurre l’alternanza scuola-lavoro ma non ha funzionato. «Ci sono stati problemi che sono stati ben evidenziati, ma l’iniziativa aveva avviato un cambiamento importante nei rapporti tra sistema e imprese e scuola. Spesso in Italia pensiamo che i cambiamenti debbano produrre effetti istantanei e rimettiamo mano alle leggi primacheilsistemapossaattuarele novitàintrodotte». Che fare? «Come Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile abbiamo proposto di mettersi al lavoro per un patto per l’occupazione giovanile. Credo che i ministri dell’Istruzione, del Lavoro e gli altri competenti dovrebbero avviare rapidamente un confronto con le imprese e la società civile, anche alla luce delle raccomandazioni che arrivano da organismi internazionali come l’Ocse. Si tratta di trasformare buone idee in politiche concrete».