Francesca Paci

A guardare Yascha Mounk che saluta il pubblico della conferenza «Cracking Borders, Rising Walls», organizzata dalla ong Kultura Liberalna nel cuore di una Varsavia ansiosa per le elezioni prossime venture, è chiaro come questo enfant prodige delle scienze politiche sia l’alter-ego esatto del modello populista: insegna alle matricole della John Hopkins a emanciparsi con lo studio, attraversa i continenti come se prendesse il tram, parla 5 lingue, tra cui il polacco delle origini. Eppure, il suo ultimo saggio, «Popolo vs Democrazia», è un j’accuse a quelle élite che si sono allontanate troppo dal Paese reale. Come l’Unione Europea, dice, «un modello liberale ma non democratico». Se salta il binomio fondante del vecchio continente, cosa resta dell’identità europea? «Il legame tra liberalismo e democrazianonèpiùindissolubile. Ci sono le democrazie illiberali ma c’è anche una forma di liberalismo non democratico. Penso alla storia dell’identità europea, finché si continuerà a porla come alternativa – sei italiano o sei europeo – la risposta sarà conservatrice. Si può essereentrambelecose». C’è uno stile di vita europeo? «Il tema è l’immigrazione, non giriamoci intorno. Noi rispetto a Loro. La gente su questo si arrabbia, si scalda in un modo che non ha paragoni rispetto a quanto tenga al cambiamento climatico. Non si può glissare sulle paure delle persone, vanno prese sul serio. I populismi creano una rabbia divisiva, poi magari a un certo punto la gente si stanca, non vuole pensare ogni giorno alla politica, ma se le cause del disagio restano lì primaopoiriemergeranno». L’immigrazione è il fuoco. Lo attizzano le diseguaglianze? «Inpartesì,mamenodiquanto si supponga. Il problema è la classe media: quando guadagnano sia i ricchi che la classe media la società tiene, ma se tutti perdono il 25% allora lo scarto tra chi ha tanto e chi ha meno diventa una questione di giustizia.Lastagnazioneeconomica ha colpito duro sulle democrazie avanzate, l’Italia non cresce da 30 anni ma anche negliStatiUnitiilsalario,lievitato tra il 1935 e il 1960, dopo il 1985 si è fermato. C’è voglia di sperimentare. Il guaio è che ci sono forze che cavalcano i problemiedifattolirafforzano». L’Ue sopravviverà a questa fase «laboratorio»? «Tutti pensano alla Brexit, ma il pericolo populista va oltre il Regno Unito. L’Ue può sopravvivere anche a 27. Il problema è interno, gli sviluppi dell’Europa centrale sono molto più pericolosi del «no deal». L’Ue, in teoria, si basa su valori liberal-democratici e da lì dipende la sua legittimità. L’Ungheria è una semi-dittatura, la Polonia guarda a Budapest e se la maggioranza sarà rieletta, come pare,la democraziase lavedrà male anche a Varsavia. Perché un democratico francese o tedescodovrebbe condividere la sovranitàconchihaun’ideaaltradi democrazia?». La liberaldemocrazia europea annaspa. Cosa ha ucciso la socialdemocrazia? «In Europa la socialdemocrazia è stata sempre una coalizione di operai e borghesi istruiti, nell’epoca in cui la più importante richiesta politica era economica, welfare, tasse. Oggi la faglia divide altri territori, LGBT, patriottismo, identità, cultura: su questo non ci sono compromessi possibili, non si puòessere favorevoli alle unioni gay al 50+%. E la socialdemocraziasièspaccata,unaparte è andata con verdi e liberali, l’altra con i populisti. Attenzione però, i verdi non sono un’alternativa ai populismi né la loro contro-narrativa, nessunoin Germania oscilla tra Verdi e AfD.Altre forze devono recuperare il voto populista». Trump può essere rieletto? «Non è inverosimile. Trump non è popolare ma l’elezione del presidente non è un referendumbensì unasceltatra diversi, e anche i democratici sono molto impopolari. Trump, un po’ perché l’economia tira e un po’ perché ci si è abituati ai suoi modi, regge. In più la sinistraamericana siè radicalizzata e tratta l’altra metà dell’America con aperto disgusto rifiutando anche solo di parlare conglielettoridiTrump.Maallora,comeli recuperi?».