Francesca Pierantozzi

Romano Prodi lo disse prima di tutti: «E’ stupido». Da allora – era il 2002 – in molti si sono ingegnati a rendere più intelligente il Patto di Stabilità. Recessioni, crisi economiche epocali, euroscetticismo galoppante potrebbero avere ormai convinto anche i più recalcitranti (Germania, Olanda e altri paesi settentrionali rigoristi) che le regole – necessarie – vanno corrette per essere più efficaci e più sostenibili. Una fonte belga ha confermato al quotidiano L’Echo che un piano è pronto per modificare le norme del patto di Stabilità e Crescita entro un anno, uno studio tecnico rivelato due settimane fa dal Financial Times, che la Commissione ha bollato come un semplice esercizio di “brainstorming”. LAVORO A MONTE «La riflessione c’è, gli amministratori stanno preparando il lavoro a monte», ha invece detto la fonte del governo belga: «La questione principale è questa: bisogna immaginare un altro modo di calcolare la riduzione del debito pubblico». Ieri il presidente Mattarella è stato soltanto l’ultimo in ordine di tempo, ieri a Cernobbio, a definire «necessario» un «riesame» del Patto che regola le politiche di bilancio della zona euro. C’è da dire che il Patto è stato in questi anni già più volte aggiustato per adattarsi ai tempi. Nel lontano 2003, quando la Francia e anche la virtuosa Germania si trovavano ormai da tempo sopra la soglia consentita del 3 per cento la Commissione non fece scattare l’automatica procedura per deficit eccessivo e optò per un rimbrotto meno drastico. Si creò così il precedente della “lettura politica” del patto, da sovrapporre all’applicazione automatica dei suoi articoli. Nel 2005 un’altra riforma ha reso più elastiche le norme in caso di superamento delle linee rosse – debito oltre il 60 per cento del Pil e deficit superiore al 3 per cento – aumentando le clausole di deroga (per esempio lo stato di recessione) e allungando i tempi del “risanamento”. Dopo la crisi del 2008, la soglia del 3 per cento è stata sfumata in quasi tutti i paesi da recessioni e contrazioni del Pil, ma nel 2011 il “six-pack” ha di nuovo rafforzato le norme del Patto, introducendo in particolare un controllo “preventivo” della Commissione sulle leggi di bilancio nazionali e imponendo l’equilibrio strutturale come obiettivo di medio termine. IL PIANO I tecnici di Bruxelles sono pronti con un piano. Più importante ancora: il consenso politico su una riforma è più ampio e la nuova Commissione potrebbe trovare la congiunzione astrale perfetta per rivedere le norme. Per gli economisti, per esempio, il primo precetto da rivedere è l’obbligo di ridurre ogni anno i debiti pubblici superiori al 60 per cento di un ventesimo dell’eccedenza: non fattibile. Da estendere anche lo scorporo degli investimenti (infrastrutturali efficienza energetica, ricerca) dal calcolo del disavanzo. Altro fronte sempre aperto e che potrebbe muoversi: quello della creazione di un “vero” bilancio europeo (finora è pari all’1 per cento del Pil) abbastanza robusto da contrastare le prossime (per molti inevitabili) crisi economiche.