Francesco Grignetti
Vittima di una spaccatura verticale, così appare il Coni di Giovanni Malagò. Il virus della politica è entrato a fondo nelle dinamiche dell’ente che amministra lo sport e la scelta del governo precedente di «scippare» la cassa, togliendo 429 milioni al bilancio del Coni (cui restano appena 40 milioni e la competenza sullo sport d’eccellenza) a beneficio di una creatura del tutto nuova e dipendente dall’esecutivo quale «Sport e salute», ha fatto esplodere le tensioni. Ieri «Repubblica» ha dato conto di due lettere riservate di Malagò ai vertici del Cio, il Comitato olimpico internazionale, in cui si sostiene che il nuovo assetto sarebbe contrario ai principi sportivi e all’autonomia del Coni, e che perciò il Cio sarebbe dovuto intervenire contro l’Italia. Intervento che per il momento si è concretizzato con una lettera aperta, ma qualcuno teme che potrebbe diventare un clamoroso embargo contro l’Italia alle prossime olimpiadi. Il presidente: «Un atto dovuto» Il giorno dopo la notizia, il Cio fa sapere che «Malagò non ha mai chiesto sanzioni per l’Italia». Il presidente del Coni, a sua volta, rivendica la giustezza della sua azione. «Le mie lettere al Cio? Era indispensabile – ha spiegato Malagò – e doveroso farlo. Se non avessi evidenziato situazioni normative che sono sotto gli occhi di tutti, da membro Cio sarei stato sanzionato in modo anche grave. Devo essere sincero, non capisco la motivazione e il clamore di tutto questo». Per concludere: «Io ho difeso e sto continuando a difendere il Coni. Ora nell’ambito dei decreti attuativi della legge delega dobbiamo sistemare alcuni aspetti che sono in palese contraddizione con la Carta olimpica». Protestano le federazioni di nuoto e tennis. «Questo clima certo non favorisce lo sport in Italia e non fa bene alle federazioni, dice Paolo Barelli, presidente della Fin. Dura la reazione di Angelo Binaghi, numero uno della Fit: «Le due lettere parlano da sole. Atto dovuto? Non mi vedrete mai scrivere una lettera contro la federazione italiana tennis». Non l’ha presa bene, però, per usare un eufemismo, chi tra i politici fino a ieri era sull’altra barricata. L’ex sottosegretario Giancarlo Giorgetti fa filtrare di avere scritto a Malagò e a due membri italiani del Cio il 3 settembre, due giorni prima di lasciare Palazzo Chigi, una lettera di precisazioni, sottolineando che quella approvata dal Parlamento italiano è una legge-delega e che quindi ci sarà tutto il tempo per correggere il tiro con i decreti attuativi. L’altro ex sottosegretario che aveva portato avanti la riforma, il grillino Simone Valente, è durissimo: «Un fatto gravissimo e sconcertante. Malagò si è spinto fino al punto di suggerire l’irresponsabile esclusione dell’Italia dalle Olimpiadi di Tokyo e la revoca dell’assegnazione di Milano-Cortina creando scompiglio nel mondo sportivo, in particolare tra quelli che puntano alle Olimpiadi del 2020, solo per una mera questione di tornaconto personale». Secondo Valente, Malagò è il responsabile unico del «terrorismo psicologico» che da mesi serpeggia tra atleti e dirigenti. E tutto sarebbe da collegarsi a una questione personalistica: il blocco per una eventuale rielezione alla guida del Coni. «Il presidente Malagò, che è a capo di un ente pubblico, ha commesso una scorrettezza istituzionale senza precedenti esclusivamente per proteggere i suoi personali interessi». Ma è Alessandro Di Battista il più incendiario di tutti: «È alto tradimento. Il funzionario pubblico Malagò mentre pubblicamente terrorizzava gli atleti italiani, segretamente chiedeva al Cio di punire l’Italia». Il M5S sta facendo appello al neoministro Vincenzo Spadafora affinché intervenga.