Francesco Grignetti

Non sarà sulle manette agli evasori fiscali che cadrà il governo giallo-rosso. Nonostante i mal di pancia e le resistenze dei renziani, una giornata di vertici a palazzo Chigi ha ribadito il punto di fondo, ossia abbassamento delle soglie di punibilità a 100mila euro di evasione e aumento delle pene da 6 a 8 anni, che restano nel decreto fiscale, le cui bozze erano state approvate in consiglio dei ministri. Poi, certo, in ambito penale i dettagli fanno la differenza. Innalzare le pene edittali oltre certe soglie, ad esempio, apre alle procure la possibilità di intercettare i presunti evasori, il che non piace ai garantisti. Oppure, per questioni di metodo costituzionale, c’è chi critica la scelta di inserire modifiche al codice penale in un decreto, quale il fiscale. E’ quanto dice, ad esempio, Gennaro Migliore, di Italia Viva, ex sottosegretario alla Giustizia. E quindi fino all’ultimo si è discusso se inserire il pacchetto elaborato dal ministro Alfonso Bonafede nel decreto oppure farne un testo da far procedere in parallelo. Da una parte i grillini, testardi, che volevano portare a casa il risultato, per loro identitario. Dall’altra tutti gli altri. Politicamente parlando, il via libera c’è. Nicola Zingaretti ne aveva parlato già durante la sua intervista televisiva di domenica sera: «I grandi evasori rubano soldi a chi ha bisogno. Bisogna arrivare a sanzioni o al carcere. Non ho paura a sostenerlo». Musica per le orecchie di Luigi Di Maio o del ministro Bonafede. Di Maio ha avuto gioco facile, su questa che era una delle sue tre richieste «irrinunciabili», anche nell’incontro con Giuseppe Conte. Il premier è sempre stato convinto della necessità di ritoccare le pene per gli evasori, manovrando sulle soglie di punibilità oltre che sugli anni di pena. E per chi recalcitrava, vedi i dubbi espressi nei giorni scorsi a mezza voce dai renziani, è arrivata la classica randellata. «Noi – ha detto il vice ministro alle Infrastrutture, Giancarlo Cancelleri, M5S – vogliamo il carcere per i grandi evasori. Chi non lo vuole, si sta schierando con Berlusconi. Anche se sta dentro il governo». Si è smosso perfino Romano Prodi a benedire l’accordo: «C’è bisogno di una durissima lotta all’evasione fiscale», spiegava a Rete 4. Discorso rivolto innanzitutto a quell’uscita improvvida di Maria Elena Boschi, ripresa dal suo stesso partito. Stessa posizione per LeU, uno dei partner della coalizione. Parlava il senatore Federico Fornaro, capogruppo: «Nessuna retromarcia rispetto alla scelta di fare della lotta all’evasione fiscale uno degli assi portanti della manovra. Erodere la montagna di 110 miliardi di evasione fiscale e contributiva è fondamentale per recuperare risorse per la crescita e la lotta alle diseguaglianze». E’ evidente che il governo vuole innalzare sul serio le sanzioni per i reati fiscali e rendere più ficcanti le norme. Tanto da far tremare le associazioni datoriali, che si sentono nel mirino. Protesta Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria: «Speriamo in una politica economica coerente che non metta ansia alle imprese, a partire da questo dibattito di distrazione di massa sulla questione evasione che vede le manette prima ancora delle sentenze». Anche i vertici della Confederazione nazionale artigiani, il presidente Daniele Vaccarino e il segretario generale Sergio Silvestrini, incontrando il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, hanno accennato obliquamente ai «messaggi» che arrivano dalla politica in merito alla lotta all’evasione fiscale: «Rischiano di esemplificare e generalizzare alimentando luoghi comuni».