Francesco Merlo

Nella Chiesa in decadenza si rifugiano i più viziosi peccatori perché la crisi dei suoi valori li mimetizza e li rende invisibili. E infatti, tra i tanti delinquenti che in Italia hanno militato nella virtù, tra mafiosi antimafia come Montante, magistrati malandrini e tangentisti antitangente, non c’era mai stato un radicale sradicalizzato. Invece ora si scopre che questo Antonello Nicosia (ma chi lo conosceva?) è riuscito a infiltrarsi nel purissimo garantismo garantito da Pasolini, Tortora, Sciascia, Pannella ed Emma Bonino. Ha indossato il saio radicale non, come hanno scritto, per entrare in carcere e fare il portalettere della mafia di Matteo Messina Denaro, ma per lucrare, una volta in carcere, sulla parola “radicale”. In prigione entrava infatti come assistente — nientemeno — di una deputata (non indagata) della sinistra di Pietro Grasso, ma era iscritto a Radicali italiani — nel Comitato nazionale! — perché questa medaglia, che abbaglia più dell’antimafia dello stesso Grasso, lo rendeva sacerdote della libertà, arbitro dei diritti e dei doveri del detenuto. E quando trafficava, anche in piccole tv libertarie, con i valori radicali, nessuno si accorgeva che c’era troppo inferno in quella maschera transgenica. Eppure era doppio come Pantalone e mentiva anche a stesso quando goffamente tra i tanti maestri di valori scomodava Habermas, Voltaire, Brecht, Dostoevskij, Bobbio, Hermann Hesse, i Papi e Manzoni. Era dunque invisibile non solo ai Radicali Italiani e dunque a Emma Bonino, Marco Cappato, Riccardo Magi, Silvio Viale, ma anche a quegli altri del Partito Radicale che nell’ingiusto e nel disumano delle prigioni, nel bugliolo, nella puzza e nelle violenze dell’universo concentrazionario ancora cercano e scoprono l’umanità dell’Italia, e sto parlando di Rita Bernardini, Maurizio Turco, Sergio D’Elia, dei militanti di Antigone e Nessuno tocchi Caino, di Maria Antonietta Farina Coscioni, Elisabetta Zamparutti, Irene Testa… Forse nessuno di loro ha visto e capito Nicosia perché la grande cultura radicale è in crisi? Dolenti e divisi, i radicali si contendono — molto male — eredità morali e materiali, e si espongono sia agli infiltrati e sia agli sciacalli che arrivano quando si alza il tanfo del disfacimento. Sono gli stessi sciacalli che già volevano chiudere Radio Radicale, e si spingono sino all’orrore di dire che questo Nicosia è il degno erede del Pannella che digiunava per la giustizia e per l’amnistia, contro l’ergastolo e le leggi speciali, per la mancata riforma penitenziaria, e contro lo Stato italiano che, secondo la Corte Europea, non custodisce ma tortura. Si sa che la fiducia regge il mondo. E i radicali sono sempre stati affidabili. Lo spread, a cui siamo appesi, è un indicatore di fiducia. E sulla fiducia si basano i mutui bancari. Scegliamo salumieri, pescivendoli e panettieri di fiducia, appunto. Così per i giornali dove una testata non vale un’altra. Persino i libri si comprano per l’affidabilità del nome: di Gallimard, Suhrkamp Verlag, Penguin e Adelphi ci si può fidare. Ebbene i radicali che entrano in carcere sono ancora la giustizia giusta e la verità scomoda di un mondo volutamente dimenticato. I radicali sono Cesare Beccaria, i soldati del diritto che ci distingue dai califfati, dai turchi di Erdogan, dall’Egitto di al-Sisi. Dei radicali hanno fiducia sia i carcerati e sia i carcerieri. Quando dunque dalla fiducia emerge l’empietà, lo scandalo è più grave perché sporca il mondo dei valori, ne mostra la fragilità e la possibile corruzione. Ma al tempo stesso dovrebbe rafforzarli perché li mette in guardia. Da più di dieci anni il trafficante di valori è una nuova maschera italiana, un unico carattere che contiene mille identità. E però i magistrati malandrini come Silvana Saguto non hanno distrutto la magistratura. E gli antipizzo beccati con il pizzo in tasca come Roberto Helg hanno migliorato la battaglia contro il pizzo. Ci ha reso meno creduloni la vicenda del giornalista Pino Maniaci che aveva la schiena dritta in pubblico ma, di nascosto, la piegava. E siamo diventati diffidenti vedendo che i corrotti venivano arrestati mentre aprivano convegni contro la corruzione, come l’ex vicepresidente della Regione Lombardia Mario Mantovani condannato a 5 anni e 6 mesi. Ricordate Totò Cuffaro? Fu lui a introdurre la novità epocale del mafioso che si sputava addosso, si sfregiava, si oltraggiava. Quand’era presidente della Regione siciliana inventò infatti lo slogan: “la mafia fa schifo”. Poi fu condannato per mafia. Inaudito? Oggi questo Nicosia che trafficava in pizzini per conto della mafia è l’inaudito radicale. E gli eredi della grande tradizione garantista italiana male fanno ad accusarsi reciprocamente di non essere abbastanza radicali invece di addossarsi tutti insieme, non certo le colpe del farabutto Nicosia che non hanno, ma la responsabilità della decadenza di cui Nicosia è la spia, l’indicatore, il segnale, il cattivo odore. Lo sciacallaggio in Italia è ormai una banalità ma, se i radicali non fossero ridotti così male nessuno si permetterebbe di volare tanto basso, con l’idea che gratta gratta, dietro Nicosia c’era la banda Bassotti dei garantisti, e che in fondo anche Pannella era solo un complice di Al Capone.