Francesco Verderami
Nei giorni scorsi il New York Times — raccontando la genesi del Conte-bis — ha scritto che «le ramificazioni politiche» del nuovo governo italiano vanno «ben oltre» i confini nazionali, spiegando come sia stato «benedetto dall’Unione europea», evidenziando come «le conversazioni a margine del G7 a Biarritz» fossero state «decisive nel dargli forma», e aggiungendo che «anche il Vaticano» si sarebbe speso a favore del disegno.
Per certi versi nulla di nuovo. In realtà una novità rispetto al passato c’è stata. Perché non era mai accaduto che endorsement internazionali precedessero e non seguissero la nascita di un governo nazionale, che capi di Stato e di governo — al pari di commissari e rappresentanti delle istituzioni europee — prendessero posizione a crisi aperta, arrivando persino ad appoggiare la nomina di ministri quando ancora il presidente del Consiglio incaricato non aveva sciolto la riserva.
Non c’è dubbio che il rapporto di interdipendenza politica tra Stati abbia assottigliato il limite oltre il quale si corre il rischio di sconfinare nell’ingerenza con gli affari di un altro Paese. Ma è un fatto che da quando Conte ha dichiarato conclusa l’esperienza del governo giallo-verde siano iniziate dichiarazioni a favore della nascita di un governo giallo-rosso.
Prima volta
Gli endorsement internazionali hanno preceduto la nascita di un governo nazionale
Il 22 agosto a Parigi, appena due giorni dopo l’apertura della crisi a Roma, il presidente francese Macron disse di «augurarsi» il passaggio di Salvini all’opposizione e impartì una lezione al leader grillino Di Maio: «Chi era in testa alle scorse elezioni politiche? E chi è il perdente dell’ultima fase? Allearsi con l’estrema destra non funziona mai». Il 28 agosto il presidente americano Trump twittò a favore di «Giuseppi» Conte, che l’indomani avrebbe ricevuto l’incarico a formare un nuovo gabinetto. Evento salutato con enfasi appena ventiquattro ore più tardi dal commissario europeo uscente per il Bilancio, Oettinger, che parlò di «uno sviluppo positivo» della crisi italiana «per la nascita di un governo pro europeo»: «E quando il governo entrerà in carica — aggiunse — noi faremo il possibile per facilitare il suo lavoro e per ricompensarlo».
Tutto si tiene. E infatti i commenti delle cancellerie si combinavano in quelle ore con le reazioni dei mercati: per l’Italia la borsa saliva e lo spread scendeva. Era il segno che il cambio di maggioranza a Roma veniva visto con favore. Tanto che nei primi, complicati giorni in cui M5S e Pd avevano iniziato a discutere su un gabinetto in comune, giunsero parole di sostegno al loro operato. Il 30 agosto il ministro delle Finanze tedesco Scholz spiegò in un’intervista che «l’Europa si aspetta la nascita di un governo stabile e progressista», ricalcando la linea espressa due giorni prima dal collega tedesco all’Economia, Altmaier, che aveva usato un tweet per dire che «dall’Italia arrivano buone notizie».
Una spinta a «fare presto» giunse il 2 settembre dal commissario europeo uscente agli Affari economici Moscovici: «Penso che un esperimento tra Pd e M5S debba essere tentato». Da socialista, era chiaro tifasse per i democrat italiani, che due giorni dopo chiusero l’intesa con i grillini e consentirono a Conte di salire al Colle per sciogliere la riserva. Il premier però non aveva ancora discusso con il capo dello Stato la lista dei ministri, quando a sorpresa la futura guida della Bce Lagarde disse che la nomina di Gualtieri all’Economia sarebbe stata «un bene per l’Italia e per l’Europa». Poche ore dopo sarebbe nato quello che nel Palazzo è stato ribattezzato «il governo degli endorsement».