Franco Venturini

Assicurano fonti diplomatiche che di questi tempi il presidente ucraino Volodymyr Zelensky soffre di terribili emicranie. E anche di un ricorrente incubo notturno: stavo meglio quando da comico facevo il presidente, oppure ora che da presidente mi tocca fare il comico? Eletto trionfalmente in aprile, il capo dello Stato dichiara subito di voler riportare la pace nel Donbass (la guerra contro i filorussi ha già fatto 13.000 morti). Il dialogo con Putin comincia bene, e si giunge a uno scambio di prigionieri. Ma il 25 luglio, accidenti, telefona Trump che gli chiede «un favore»: quello di indagare sugli affari in Ucraina del figlio del suo rivale democratico Joe Biden. Lui dice ni, ma intanto Trump ha bloccato forniture di armi per 391 milioni di dollari. E allora Zelensky che dovrebbe fare? Assicura che Kiev non può fare a meno degli Usa, esclude di essere stato ricattato, dice ai nazionalisti di casa che solo sua figlia piccola può influenzarlo. In America parte l’impeachment, e Zelensky deve vedere Trump di persona a New York. In fondo si tratta di due grandi attori, potrebbero intendersi, suggerisce qualcuno. Il mingherlino Zelensky preferisce adulare quel colosso, lo chiama maestro ma non funziona. Trump esige che lui indaghi, e appoggi gli avvocati della Casa Bianca. Lui dice di nuovo ni, perché sa che intanto lo cercano da Mosca. Putin è gentile, gli dice di stare tranquillo per il gas e soprattutto si congratula perché Kiev ha accettato l’autonomia del Donbass se prima si terranno elezioni. Ora si può preparare un nuovo vertice «formato Normandia» tra Ucraina, Russia, Francia e Germania. Quando Trump lo viene a sapere va su tutte le furie, gli Usa vogliono esserci. Zelensky nicchia, e Mosca respinge la lamentela americana. Il pericolo è di confondere l’indagine su Biden con il Donbass, le elezioni con le armi bloccate e Putin con Trump. Comicità tv d’un tempo, dove sei?