Gabriella Colarusso

Nel 2016, durante la grande crisi dei migranti provocata dalla guerra civile in Siria, l’Europa promise 6 miliardi di euro a Erdogan per trattenere i rifugiati in Turchia, sperando così di contenere le spinte populiste che stavano terremotando i governi del continente. Tre anni dopo, quell’accordo rischia di rivolgersi contro gli stessi Paesi Ue che l’avevano sostenuto. La Turchia invade il Kurdistan siriano, e Erdogan chiede altri tre miliardi per gestire i rifugiati nel suo paese (in Turchia vivono tre milioni e seicentomila persone), minacciando di aprire le frontiere se i suoi piani di sostituzione etnica nel nord della Siria verranno ostacolati. L’Europa è divisa. Al di là dello stop alle forniture militari, Francia e Italia vorrebbero imporre sanzioni contro la Turchia per l’operazione in Siria. La Germania e i Paesi di Visegrad frenano, temendo la riapertura della rotta balcanica. La questione delle sanzioni verrà discussa al vertice dei leader della Ue giovedì a Bruxelles, e prima all’incontro dei ministri degli Esteri europei domani in Lussemburgo. Ma le tensioni tra Europa e Turchia, che pure sono legate da solidi rapporti economici, non riguardano solo i migranti. A dividere i due alleati Nato ci sono almeno altri tre dossier, dagli S-400 russi alle trivellazioni turche al largo di Cipro. Armi e commercio: gli interessi economici L’Unione europea è il primo mercato di sbocco dei prodotti che vengono dalla Turchia, davanti a Russia, Cina e Stati Uniti: nel 2018, il 42% di tutti gli scambi commerciali di Ankara è stato con l’Europa. E l’interesse è reciproco: la Turchia è il quinto partner commerciale dell’Europa, il primo della Germania (dove vivono più di 3 milioni di cittadini turchi) e ha forti legami con l’Italia, che ai turchi vende soprattutto armi. Dal 2014 al 2018, dice un rapporto del Sipri pubblicato lo scorso marzo, la Turchia è stato il primo Paese di esportazione delle armi italiane: 890 milioni di euro dal 2014, 360 milioni solo nel 2018. Ieri Francia e Germania hanno annunciato che bloccheranno la vendita di materiale bellico ad Ankara, così pure l’Olanda, la Norvegia e la Finlandia. L’Italia chiederà invece una misura comune europea per fermare le forniture di armi. Gli affari russi dell’alleato Nato Oltre la crisi siriana, la grande preoccupazione occidentale nei confronti della Turchia riguarda la sua posizione ambigua all’interno della Nato. Nel luglio 2018, la Russia ha cominciato a trasferire all’esercito turco la prima parte dei sistemi di difesa missilistica S-400, un affare che ha provocato molti malumori all’interno dell’Unione europea e della Nato, di cui la Turchia è membro e anche dei più rilevanti: l’esercito di Erdogan con oltre 400mila soldati è il secondo dell’Alleanza atlantica dopo quello americano. «Gli alleati temono che questa tecnologia possa fornire alla Russia informazioni sensibili sui sistemi difesa della Nato», spiega Valeria Talbot, ricercatrice e co-direttrice del centro per il Medio Oriente e il Nord Africa dell’Ispi. La contesa sul gas di Cipro L’altra faglia tra Europa e Turchia rischia di aprirsi al largo delle coste di Cipro, l’isola divisa dopo l’invasione turca del 1974 tra la Repubblica di Cipro greco-cipriota a Sud, che fa parte dell’Unione Europea e Cipro Nord, la zona turca non riconosciuta dalla comunità internazionale. A luglio la Turchia ha annunciato nuove trivellazioni a Nord-Est di Cipro, rivendicando la sovranità sulle acque territoriali contese e il diritto della comunità turco cipriota del Nord di sfruttarne i giacimenti di gas. Per l’Unione europea le trivellazioni invece sono illegali. Ieri il governo francese ha confermato che invierà una fregata nel blocco 7 della zona economica esclusiva di Cipro, dove le licenze operative sono state assegnate alle società petrolifere francese e italiana, Total ed Eni. Proprio sul dossier cipriota l’Europa si è scontrata con la difficoltà di imporre sanzioni a un alleato così strategico.