Gabriella Colarusso

“Ha funzionato”, dice il pilota russo pochi minuti dopo l’esplosione che squarcia il Nabad all’Ospedale chirurgico Hayat di Haas, una piccola cittadina nella provincia meridionale di Idlib, nell’Ovest della Siria, l’ultima enclave ribelle ancora fuori dal controllo del regime di Damasco e dei suoi alleati, la Russia e l’Iran. È il 5 maggio, nel giro di dodici ore altri quattro ospedali nell’area di Idlib vengono bombardati. Ad attaccare i presidi medici è l’aviazione russa, racconta un’inchiesta del New York Times che è stata pubblicata ieri, poche ore prima che l’esercito di Assad muovesse verso Kobane e Manbiji, in accordo con i curdi. I giornalisti del quotidiano americano hanno incrociato le registrazioni radio dell’aeronautica russa, i dati dei registri tenuti dagli osservatori a terra, che monitorano i voli sui cieli siriani per avvisare gli operatori umanitari di attacchi imminenti, e le testimonianze di medici e infermieri. I quattro ospedali coinvolti erano tutti nella cosiddetta “deconfliction list” delle Nazioni Unite, la lista degli obiettivi che non dovevano essere colpiti e che era stata condivisa con Mosca. Non è la prima volta che la Russia viene accusata di aver bombardato cliniche e ospedali in Siria. Mosca ha sempre respinto le accuse — sostenendo che l’Aeronautica russa effettua attacchi di precisione solo su “obiettivi accuratamente identificati” — ma le prove del New York Times sembrano solide. Sugli attacchi alle cliniche di Idlib c’è già un’inchiesta in corso, è stata aperta ad agosto dalle Nazioni Unite: bombardare intenzionalmente un ospedale è un crimine di guerra. Physicians for Human Rights, una organizzazione che tiene il conto dei raid contro gli operatori sanitari in Siria, ha documentato almeno 583 attacchi del genere dal 2011, 266 dei quali da quando la Russia è intervenuta, nel settembre 2015, cambiando le sorti del conflitto e permettendo ad Assad di fatto di vincere la guerra civile.