Gad Lerner
Anche quando si trattò di abrogare le leggi razziali del regime fascista ci fu chi raccomandò gradualità e prudenza sostenendo che vi fossero buoni contenuti da salvaguardare.
Lo tenga a mente Giuseppe Conte che ieri al Senato ha ottenuto la fiducia definitiva del Parlamento per un governo di svolta: non gli basterà un generico elogio della mitezza per contrastare il clima d’odio codificato anche nei decreti sicurezza da lui precedentemente sottoscritti. Fatte le debite proporzioni, anche Badoglio, nel 1943, fu chiamato a fare i conti col gesuita Pietro Tacchi Venturi che in materia di legislazione sulla razza, gli suggeriva a nome del Vaticano di mantenere alcune “disposizioni meritevoli di conferma”. Per nostra fortuna il gesuita posto oggi alla guida della Chiesa di Roma non manifesta simili imbarazzanti esitazioni di fronte a una legislazione punitiva nei confronti di chi opera per salvare degli esseri umani; e che ha reso pressoché impossibile il riconoscimento della protezione umanitaria per gli immigrati.
Nell’aula di Palazzo Madama si è levata ieri al di sopra degli schiamazzi di bassa Lega una voce che ha nobilitato l’intera seduta: quella della senatrice Liliana Segre. Neanche una politica afflitta dal trasformismo più spregiudicato può illudersi di eluderla, cavillando e rinviando la scelta di civiltà che s’impone immediatamente: revocare, intanto nella prassi quotidiana delle istituzioni preposte all’ordine pubblico, e di seguito nei codici, quelle disposizioni obbrobriose peraltro già segnalate dal Quirinale.
Risuona come un imperativo morale senza deroghe l’affermazione di Liliana Segre: «Mi hanno insegnato che chi salva una vita salva il mondo intero, per questo un mondo in cui chi salva vite viene osteggiato mi pare proprio un mondo rovesciato».
Non solo i naufraghi vagabondi in mezzo al Mediterraneo debbono essere salvati. Anche l’Italia ha bisogno di salvarsi dalla perdizione in cui stava precipitando.
Subito. Lo stesso giorno in cui — coincidenza significativa — vedono la luce il nuovo governo italiano e il nuovo governo europeo, concepiti entrambi faticosamente come antidoto al sovranismo. Conte non può cavarsela con un colpo al cerchio e un colpo alla botte. È una furbizia meschina sostenere, come purtroppo ha fatto nella replica di ieri, che sarebbe necessario «evitare di concentrarci ossessivamente sullo slogan “porti aperti, porti chiusi”». Lasci pure a Salvini i demagogici richiami al buon senso. Né s’illuda che la pur necessaria legislazione contro l’hate speech basti a sanare i guasti procurati dalle discriminazioni approvate nel suo primo governo.
Non c’è richiamo alle buone maniere che possa sostituirsi ai valori su cui la Costituzione nata dalla Resistenza antifascista ha posto le basi della nostra dialettica democratica. Di nuovo ci giungono in soccorso le parole di Liliana Segre, quando denuncia «la festa del 25 aprile trasformata da alcuni in una sorta di faida», i casi di razzismo «trattati con indulgenza», la sottovalutazione dello studio scolastico della storia come «primo effetto collaterale della perdita del futuro». Non è certo un caso se da questi pilastri è solo l’estrema destra a prendere le distanze, promettendo anche ieri, nel discorso di Salvini, di assumere la fisionomia del cacciatore e lanciando la minaccia: “Non potete scappare all’infinito”.
Per rimanere in sella, il segretario leghista rinsalda così la sua alleanza non solo con Fratelli d’Italia, ma anche con CasaPound e Forza Nuova. Peccato che le nostre istituzioni si siano lasciate precedere da Facebook e Instagram nel perseguirne la propaganda dell’odio. Perfino Beppe Grillo, con ritardo imperdonabile, ha dovuto riconoscere lo spazio pericoloso concesso ai “barbari” con cui un anno fa aveva scelto di allearsi. Meglio tardi che mai. Domenica prossima al raduno di Pontida vedremo se il primo leader populista europeo che per eccesso di impulsività ha perduto le leve di governo che deteneva, vorrà ergersi a caporione di tale accolita estremista. Intanto, con il senno di poi, bisogna riconoscere che concedergli l’accesso al palcoscenico del Viminale fu un errore, rimediato solo dalla sua autolesionistica vanità personale.
L’elenco di buone intenzioni formulate nel discorso programmatico di Conte lunedì alla Camera, ha trovato ieri qualche utile precisazione riguardo alle priorità. In sintonia con le richieste formulate da Landini a nome dei sindacati, il premier si è impegnato per prima cosa a realizzare un cuneo fiscale «a totale vantaggio dei lavoratori». Questa, sì, è una scelta di campo tutt’altro che indolore.
Susciterà obiezioni anche all’interno della stessa maggioranza, nelle sue componenti più vicine alla parte imprenditoriale. E verrà esaminata con severità dalla Commissione di Bruxelles.
Inizia una vera corsa ad ostacoli per il nuovo esecutivo, figlio di un accordo rocambolesco e frettoloso, tutto da verificare. Nel quale le convenienze di singoli partiti, e al loro interno di fazioni contrapposte, rischiano di pregiudicare un equilibrio che resta precario. Ma proprio per questo è decisivo che non restino in sospeso le scelte di orientamento ideale. Concrete quanto e più di una manovra economica. Assumere una posizione netta e inequivocabile di superamento dei decreti sicurezza, è il presupposto per riconoscersi fondatori di un nuovo perimetro costituzionale.
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