Gianluca Di Feo

Un eventuale embargo europeo alle vendite di armi per la Turchia non avrebbe grande effetto sull’invasione della Siria. Da tempo Erdogan ha incentivato l’industria bellica, sovvenzionando aziende guidate da fedelissimi e persino da familiari, che producono e addirittura esportano mezzi hi-tech: navi, tank, semoventi, artiglieria e missili oltre a ogni tipo di munizione. Anche una parte degli aiuti Ue frutto dell’accordo per fermare le partenze dei profughi è stata destinata direttamente alla costruzione di un centinaio di veicoli blindati con sofisticati sistemi di sorveglianza, inclusi apparati automatici per individuare ed eliminare i cecchini. Formalmente dovrebbero servire per il controllo delle frontiere, mentre si sospetta che abbiano un ruolo attivo negli scontri in Siria. In passato Ankara ha fatto incetta di armamenti dismessi da Olanda e Germania, comprando i carri Leopard II e i cingolati Ifv che in queste ore avanzano sparando nelle zone curde. Ma oggi il Sultano cerca in Europa soprattutto tecnologia: come quella che gli permette di realizzare in Turchia gli elicotteri da combattimento Mangusta grazie al contratto con il gruppo Leonardo. I Mangusta sono velivoli potenti, già impiegati negli scorsi anni nei raid contro le formazioni curde all’interno del territorio nazionale: lo stop alla fornitura di ricambi dall’Italia potrebbe sul lungo periodo impedirne l’uso. Di sicuro, però, un’intesa a Bruxelles sul divieto di export militare rappresenterebbe un importante segnale politico nei confronti di Ankara. E sarebbe il primo passo verso una politica comune in materia: più volte i Paesi europei hanno fatto a gara, in concorrenza l’un l’altro, per rifornire gli arsenali dei dittatori, da Saddam a Gheddafi. E spesso ciascun governo ha sfruttato i vincoli posti da un altro per incrementare i propri affari: Francia, Gran Bretagna, Italia, Svezia, Germania, Belgio, Spagna si sono sfidate nell’offrire caccia e cannoni, chiudendo gli occhi sui diritti civili pur di aumentare i fatturati. Anche in assenza di una decisione condivisa, sarebbe fondamentale che il governo Conte ordinasse subito il blocco di ogni rapporto di natura militare con Erdogan. Cominciando con l’ordinare il rientro in patria dei nostri soldati che proteggono i cieli della Turchia: 130 militari con una batteria di missili terra-aria Samp-T, tra i più avanzati al mondo, che dal 2016 vigilano proprio sul confine siriano. La Spagna ha già ipotizzato di ritirare i suoi Patriot, schierati lì nella stessa spedizione Nato. E noi? La missione costa ai contribuenti una dozzina di milioni l’anno: un regalo al Sultano che appare come una beffa.