Gianna Fregonara

Letti uno di seguito all’altro sono i numeri di una disfatta: 21 per cento nel Lazio, un ragazzo su cinque; 23 per cento in Molise, quasi uno su quattro; 25,7 in Basilicata e 26,8 in Puglia. E poi: Campania (31,9), Calabria (33,1), Sicilia (37) e Sardegna (37,4). Sono tantissimi e sono i ragazzi e le ragazze che il nuovo studio dell’Invalsi sulla «dispersione scolastica implicita», firmato da Roberto Ricci, considera perduti dal nostro sistema scolastico. Quelli che non finiscono le scuole superiori più quelli che arrivano sì al diploma finale ma con un livello di conoscenze così basso che quel pezzo di carta non gli servirà a nulla. Di solito questa seconda categoria non si conta nei dati ufficiali, quelli che hanno fatto dire al premier Giuseppe Conte nel discorso di insediamento che «la dispersione scolastica resta un’emergenza». Negli ultimi due anni, complice la crisi, i giovani fra i 18ei24 anni che hanno abbandonato la scuola prima del traguardo finale sono tornati a crescere attestandosi sopra il 14 per cento. Siamo quartultimi in Europa. Peggio di noi fanno solo Romania, Malta e Spagna, mentre siamo stati superati anche dalla Bulgaria. Questi ragazzi che la scuola perde sono condannati alla marginalità sociale. Molti finiscono nei cosiddetti Neet: non studiano né lavorano e nei contesti più svantaggiati diventano preda della criminalità. Ma non ci sono solo loro. C’è un altro esercito di ragazzi che la scuola «perde» anche se arrivano in fondo. A farli uscire dal cono d’ombra ci ha pensato l’Invalsi, usando i dati delle rilevazioni fatte all’ultimo anno delle superiori. Ragazzi che pur avendo in tasca un diploma di scuola superiore non sono in grado di capire un libretto di istruzioni di media difficoltà, figuriamoci un modulo assicurativo o bancario. Qualcuno potrà pensare che paragonarli ai «dispersi» veri e propri sia un’esagerazione retorica. Ma (purtroppo) non è così. Quelli che nei test Invalsi arrivano al massimo al livello due su cinque in italiano e matematicaesotto il B1 di inglese sono studenti che stanno per prendere il diploma ma è come se non avessero frequentato la scuola perché hanno le stesse competenze di ragazzini di terza media o al massimo di seconda superiore. In Italia sono il 7,1 per cento, nelle scuole del Nord non superano il 3-4 per cento, ma in regioni come la Calabria sono più del doppio. Se si sommano a quelli che hanno abbandonato la scuola prima di arrivare al traguardo, il totale è da brivido: 22,1 per cento, più di un giovane su 5. Ma le differenze regionali sono enormi, tanto da disegnare una mappa dell’Italia spaccata in tre parti, dove solo Veneto, Friuli-Venezia Giulia e provincia di Trento riescono a stare vicino o sotto l’obiettivo europeo del dieci per cento di giovani che abbandonano la scuola in anticipo, mentre le altre regioni del Centronord sono fra il 15 e il 20 e al Sud si supera il 25% con punte ben oltre il 30 in Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna. Eppure sarebbe possibile individuare precocemente i soggetti più a rischio, se solo lo si volesse. Sono coloro che già alla fine della terza media non raggiungono i traguardi attesi: il 14,4 per cento su base nazionale, fra il 25 e il 30 per cento al Sud e nelle isole. Questiragazzi a 14 anni hanno accumulato un ritardo negli apprendimenti che è quasi impossibile recuperare «dopo». Di fronte a un fenomeno di questa gravità l’impegno dei singoli docenti e delle singole scuole non può bastare, perché è evidente, come dice la presidente dell’Invalsi Anna Maria Ajello, che «la dispersione è prima di tutto un fenomeno sociale e poi scolastico. E inizia fin dalla composizione delle classi, visto che in certe aree del Paese si dividono ancora gli studenti per provenienza e censo».