Giordano Stabile

Turchi e alleati arabi concentrano le loro forze attorno alle città di Tall Abyad e Ras al-Ayn per chiudere la prima fase dell’operazione «Fonte di pace» ma i curdi allargano il fronte fino a 500 chilometri di distanza nel tentativo di disperdere le forze di Ankara e logorarle. Nel giorno che ha visto i primi tre caduti nell’esercito turco, la campagna nel Nord della Siria ha assunto una nuova dimensione, mentre Europa e Stati Uniti hanno lanciato nuovi moniti alla Turchia, respinti da Recep Tayyip Erdogan. Raid, colpi di artiglieria, e poi un’autobomba in un ristorante di Qamishlo, hanno fatto strage di civili, anche bambini, mentre dall’altra parte del confine i colpi di mortaio dei curdi hanno fatto nuove vittime fra la popolazione turca. I guerriglieri delle Ypg usano una rete di tunnel per colpire le soverchianti forze nemiche e proteggersi dai bombardamenti. E hanno impedito finora che Tall Abyad e Ras al-Ayn venissero circondate del tutto. Devono però affrontare continue ondate. Una colonna blindata è entrata ieri dal posto di frontiera di Ceylanpinar, composta soprattutto da combattenti arabi dell’Esercito libero siriano, per cercare di chiudere la partita a Ras al-Ayn. Forze scelte curde, riferiscono fonti locali, l’hanno intercettata e respinta. Negli scontri in quell’area sarebbe morto anche il primo soldato turco. La situazione più critica, ha precisato il portavoce delle Forze democratiche siriane Maruan Qamishlo, «è a Tall Abyad», dove e gli obici dei turchi martellano senza sosta. I guerriglieri hanno soltanto mortai e lanciarazzi per contrastare la potenza di fuoco turca. Devono cercare di diluirla. Per questo hanno colpito lungo un fronte vastissimo, da Ain Diwar, alla frontiera con l’Iraq, fino a Ovest dell’Eufrate, ad Azaz, dove altri due soldati turchi sono stati uccisi. Il bilancio della giornata, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, è di 32 caduti fra le Forze democratiche siriane, di 34 fra i miliziani arabi alleati della Turchia. I turchi avrebbero preso il controllo di nove villaggi attorno Ras al-Ayn e Tall Abyad, mentre Ankara sostiene di aver eliminato «342 terroristi dall’inizio delle operazioni» e di essere penetrata «per 8 chilometri». I civili morti nei raid sono dieci, 100 mila gli sfollati, mentre dall’altra parte ci sono state vittime per i colpi di mortai e razzi nella città di Suruc. Anche i curdi però devono guardarsi nelle retrovie, dove operano cellule dei ribelli siriani pro-Turchia e anche dell’Isis. Ieri un’autobomba, rivendicata dallo Stato islamico, ha fatto strage a Qamishlo. Per errore, sotto al fuoco turco sarebbero finiti anche dei soldati americani sulla collina di Mashtenour a Kobane. L’altro fronte interno è politico. I sentimenti nei confronti dell’America sono di rabbia, delusione, qualche speranza. A rafforzare questa sensazione sono arrivate le dichiarazioni di Donald Trump, che ha proposto una «mediazione» e alluso a rappresaglie economiche se Ankara andasse «oltre i limiti». Poi ha parlato il segretario al Tesoro Steven Mnuchin che ha minacciato di «sanzioni significative». Erdogan ha replicato che «le operazioni non si fermeranno». In Turchia non si ferma neppure la repressione del dissenso. Almeno 121 persone sono finite in manette per i post sui social critici verso l’operazione, e quasi 500 sono accusate di «propaganda terroristica». La Casa Bianca vuole contenere l’azione turca a 30 chilometri di profondità, perché oltre è concentrato il grosso delle prigioni che rinchiudono i reduci dell’Isis. Da ieri 5 sono in fuga, dopo che una bomba ha colpito un carcere. Anche Putin ha avvertito del rischio di una fuga di massa dei jihadisti e alluso al fatto che suoi uomini, forse dei servizi, sarebbero già in zona a «monitorare». I 30 chilometri sarebbero però una tragedia per i curdi. Il grosso della popolazione vive lungo il confine. Ain Issa, a soli 45 chilometri dalla frontiera, è già un centro a maggioranza araba. Se Erdogan realizza i suoi piani, e soprattutto reinsedia un milione di profughi arabo-sunniti, il Rojava curdo avrà comunque cessato di esistere.