Giovanni Bianconi

Una lettera spedita in carcere su carta intestata della Camera dei deputati, e perciò non sottoposta a controlli, utilizzata come fosse un pizzino. Così Antonino Nicosia «era addirittura riuscito a procurarsi uno strumento sottratto direttamente dalla legge a qualsiasi verifica, per comunicare con gli associati mafiosi detenuti». Il destinatario era Santo Sacco, «esponente della famiglia mafiosa di Castelvetrano e uomo di fiducia di Matteo Messina Denaro», che ne faceva vanto con i compagni di cella come racconta lo stesso Nicosia in un colloquio con l’onorevole Giuseppina Occhionero, divenuta la sua chiave d’accesso nei penitenziari italiani. Nicosia: «La carta intestata della Camera, cioè io sono Santo Sacco, pure qua dentro, capito?». Occhionero: «Gli è piaciuta?». Nicosia: «Ma certo, la carta intestata della Camera, gli potevo mandare una cosa così? Mi sono fatto dare un blocchetto di carta intestata…». Occhionero: «Bravo!». Nicosia: «Con la firma sotto perché ho firmato tutte e due, gli ho messo Onorevole… e lui questa cosa la porterà in giro come fidanzata…». Occhionero: «Amoooreee (in senso compassionevole per Sacco, annotano i trascrittori, ndr)». Nicosia: «Come una fidanzata… Io sono Santo Sacco anche in galera! E il Primo ministro è sempre a Castelvetrano … non si scherza (ride)». Il «primo ministro» sarebbe il super-latitante Matteo Messina Denaro, che Nicosia cita in un paio di messaggi vocali diretti alla deputata. Nel primo gli ricorda di «non parlare a matula (a vanvera, ndr)… Santo Sacco non sbaglia, il braccio destro del primo ministro, non sbaglia. Non sbagliare a parlare tu, invece…»; nel secondo fa una sorta di invocazione: «Noi preghiamo San Matteo… tutti i Matteo… quelli buoni e quelli cattivi… San Matteo proteggici… Onorevole Occhionero… mai, mai si deve dire che siamo stati contro San Matteo, non si può sapere mai… Per ora c’è San Matteo che comanda e noi siamo, preghiamo San Matteo… grazie San Matteo per quello che ci dai tutti i giorni… grazie…». La funzione di assistente parlamentare—certificata dal tesserino rilasciato dalla Camera e trovato nella perquisizione di ieri, nonostante una condanna a 10 anni e mezzo di galera scontata per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga che gli è valsa la sospensione della potestà genitoriale ma non il libero accesso a Montecitorio — era diventata per Nicosia un lasciapassare per le carceri. Che gli consentiva di parlare con i detenuti, anche nelle sezioni speciali del 41 bis, lontano da orecchie indiscrete: «Perché col deputato non è come la visita radicale che siamo abituati a fare… la guardia vicino, quando ti rompe i co… che sentono… ti devono raccontare delle cose delicate, ci dici, “scusi si può allontanare un attimo”, quello se ne deve… se ne va». Durante questi colloqui — secondo i risultati dell’indagine condotta dalla Procura di Palermo, con i carabinieri del Roseifinanzieri del Gico — Nicosia aveva incontrato il boss Filippo Guttadauro, cognato di Messina Denaro recluso a Tolmezzo, e intimato proprio a Sacco, detenuto a Trapani assieme al boss Mangiaracina, di non parlare troppo in carcere. Con toni decisi, come riferito da lui stesso all’onorevole Occhionero: «L’unica cosa che deve fare Santo Sacco è cucirsi la bocca … Gliel’ho detto ieri, quando poi si è avvicinato gli ho detto “Sa’, continui a dire minchiate, a parlare assai, cioè capisci che tua madre quando hai detto le prime cose avrebbe dovuto tagliarti la lingua?”». I messaggi che Nicosia avrebbe portato dentro e fuori il carcere riguardano — nell’interpretazione degli inquirenti — possibili collaborazioni coi magistrati da scongiurare, ma anche progetti di estorsioni, di attentati e persino di un omicidio. Sempre protetto dalla qualifica di assistente parlamentare ricevuta da una deputata che però, in quanto esponente di Liberi e Uguali (ora passata con Renzi) non offriva garanzie di un rapporto duraturoestabile. «Io sono e resto radicale — diceva al boss di Sciacca Accursio Dimino —, però siccome collaboro alla Camera come consulente di una deputata di Grasso (Pietro Grasso, l’ex procuratore antimafia ed ex presidente del Senato, fondatore di Leu, ndr)… Se s’informano bene… mi brucia». Cioè lo fa licenziare. Quindi meglio correre ai ripari: «Io vorrei fare con questi di Forza Italia, sarebbe meglio». Dimino concorda: «Sarebbe meglio, che sono più garantisti».