Giovanni Valentini

C’è una forma latente di snobismo e autolesionismo, una specie di cupio di ss ol vi , nelle critiche con cui i “giornaloni” hanno commentato la riduzione dei parlamentari da 945 a 600 (400 deputati e 200 senatori). Come se il taglio fosse sufficiente, da solo, a decretare che la politica è diventata “uno spot”. E che il governo giallo-rosso, o giallo-rosa che dir si voglia, è “privo di coerenza” e non esprime “una precisa visione istituzionale”né “un’idea del prossimo futuro”. Si ha l’impressione che un tale atteggiamento riveli un disegno di potere, un’ispirazione di marca padronale, modificando di conseguenza il codice genetico di certe testate. Dai giornali radical-chic stiamo passando, dunque, ai giornali più liberal-snob. Per dire, cioè, un antagonismo di maniera, in sintonia con gli interessi e le aspettative dell’establishment più che dei cittadini; una corrente di pensiero che in nome dell’a n t i – p opulismo contrasta la volontà popolare. Fra tanti limiti e difetti, a questo governo in formazione che (ancora) “non c’è” bisogna riconoscere il merito di aver evitato intanto il peggio. Di aver interrotto una deriva anti-democratica, sovranista e autoritaria, xenofoba e razzista. Di aver consentito all’Italia di restare in Europa a pieno titolo, tanto da esprimere per la prima volta nella storia dell’Ue il Commissario all’Economia. Di aver ripristinato normali relazioni con le forze sindacali. E tutto ciò, con il sostegno di una maggioranza ibrida che –al momento –rappresenta l’unica formula praticabile per assicurare un minimo di continuità e di stabilità a questo malandato Paese. Basta dire, come ha già ricordato qui Marco Travaglio, che gli Stati Uniti d’America hanno 500 parlamentari per 306 milioni di abitanti, contro i nostri poco più di 60 milioni. E comunque il taglio deciso dal Parlamento quasi all’unanimità, al di là dei suoi aspetti propagandistici, può rappresentare un segnale confortante, diciamo pure un contentino, per un’opinione pubblica disorientata, frustrata, avvilita dal distacco della classe politica. Un atto il cui valore simbolico e mediatico supera evidentemente quello reale. Né va sottovalutato il fatto che si recupera così alla democrazia parlamentare una forza politica come il M5S che aveva impostato la sua originaria ideologia giacobina sulla democrazia diretta, con il proposito dichiarato di “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”. Senza questo passaggio, verosimilmente non si sarebbe mai messa all’ordine del giorno la riforma dei regolamenti parlamentari e neppure quella elettorale. Ora dovranno essere i correttivi proposti dal Pd, e accettati dai Cinquestelle, a favorire l’i n t e g r azione e la complementarietà fra i due partner sul terreno istituzionale. Certo, stiamo parlando di un governo di tregua, di transizione. Un rimedio che, questa volta, non potrà essere però peggiore del male. Un antidoto all’avanzata della compagnia di ventura composta dalla trimurti Salvini-Berlusconi-Meloni. E cioè a un ritorno della destra al governo, quella destra che vuole “chiudere i porti” che in realtà non sono stati mai chiusi; adottare il blocco navale al limite delle acque territoriali e magari affondare le navi delle Ong; rompere con l’Unione europea e magari uscire dall’euro; appoggiare la Russia di Putin nelle vertenze internazionali e magari tradire l’Alleanza atlantica. Oppure, in preda al cupio dissolvi, è proprio questo che vogliono i giornali padronali?