Giuseppe Agliastro
Il destino della Siria è sempre più nelle mani di Vladimir Putin. La decisione di Trump di ritirare i soldati americani dal nord del Paese levantino non solo sta aprendo la strada all’avanzata turca a scapito dei curdi, ma ha provocato un vuoto di potere nel quale la Russia si sta insinuando con destrezza. Putin adesso è in pratica l’unico in grado di porre un freno alla sanguinosa offensiva militare del suo «caro amico» Erdogan, che ieri sera ha assicurato che parlerà col presidente russo per risolvere «entro 24 ore» ogni eventuale problema con Mosca. La prima mossa del leader del Cremlino è già andata a segno: un’inedita intesa tra il regime di Assad e i curdi per far entrare le truppe di Damasco in due città chiave a ovest e a est dell’Eufrate, Manbij e Kobane, e impedire che cadano in mano ai turchi. Donald Trump ha di fatto abbandonato al proprio destino le milizie curde che sono state il principale alleato degli Usa nella lotta contro i terroristi dell’Isis. Così facendo ha posto Putin nelle vesti di arbitro tra il regime siriano e i curdi, costretti a bussare alla porta di Damasco per non essere schiacciati dalla macchina bellica turca. L’accordo favorisce prima di tutto Putin. Senza il sostegno del Cremlino Assad probabilmente non sarebbe neanche più al potere e le aree controllate da Damasco di fatto lo sono anche da Mosca. Assieme ai soldati siriani potrebbero infatti entrare a Kobane anche quelli russi. D’altronde Putin è però in ottimi rapporti pure con il leader turco Erdogan e l’asse Mosca-Ankara non può che uscire ulteriormente rafforzato da questa complessa situazione. Turchia e Russia stanno dalla parte opposta del fronte, ma assieme all’Iran (altro alleato di ferro di Damasco) formano il trio di Astana e da tempo trattano amichevolmente per spartirsi le zone di influenza in Siria. Non è un caso che Erdogan abbia telefonato a Putin poco prima di aprire il fuoco. Mentre Ue e Usa minacciano di imporre pesanti sanzioni alla Turchia per questa nuova invasione, Ankara si avvicina ulteriormente al Cremlino, che in Siria fa la parte del leone e dispone di una base aerea a Hmeymim e di una base navale a Tartus. Assad ha risollevato la testa dopo l’intervento al suo fianco delle truppe russe, ma ha ancora bisogno del sostegno dei jet di Mosca. Putin ora potrebbe persino regalargli il rilancio delle relazioni con un nemico come Erdogan. Giovedì il capo della diplomazia russa, Sergey Lavrov, ha infatti sottolineato «la necessità di un dialogo tra Turchia e Siria». Mosca sta pian piano strappando a Washington l’alleanza con Ankara, che pur essendo membro della Nato ha acquistato i sistemi antimissili russi S-400 scatenando l’ira di Trump. Russia e Turchia hanno concordato la creazione di una zona di de-escalation di competenza turca nella provincia siriana nord-occidentale di Idlib, teatro di aspri combattimenti. Ora, di fronte all’offensiva turca contro i curdi, Putin esorta Erdogan a rispettare la sovranità della Siria. Ma l’approccio dei russi nei confronti della Turchia è piuttosto morbido. Putin è infatti il primo a riconoscere quello che Erdogan presenta come un diritto della Turchia alla sicurezza nazionale. Ankara sta infatti invadendo il nord della Siria per infliggere un duro colpo ai miliziani curdi, che bolla come terroristi per i loro legami col Pkk. Trump da parte sua ha definito «una mossa molto intelligente» il suo ordine di completo e immediato ritiro dal nord della Siria di tutti i mille soldati Usa presenti nella zona. «Non possiamo essere coinvolti nella battaglia lungo il confine tra Turchia e Siria», ha dichiarato. I militari Usa saranno spostati a sud. Putin ed Erdogan non possono che ringraziare.