Giuseppe Lo Bianco

Condannato per mafia a 9 anni di carcere il “signore del vento”, come lo definì il F inancial Times: la recente collaborazione avviata con la giustizia che ha smascherato finora due burocrati regionali infedeli, non è servita ad attenuare la condanna a Vito Nicastri, il re dell’eolico, l’i mprenditore di Alcamo in affari con Paolo Arata, ex Forza Italia poi consulente (ora ex) di Matteo Salvini. Nicastri è stato condannato dal gup di Palermo Filippo Lo Presti, assieme al fratello ( stessa pena), per concorso esterno in associazione mafiosa. L’ag g i un t o Paolo Guido e il pm Gianluca De Leo avevano chiesto 12 anni, contestandogli rapporti con le cosche e con il superlatitante Matteo Messina Denaro. E ADESSO la condanna per mafia rischia di gettare una luce diversa e più grave sull’intera vicenda giudiziaria che ha coinvolto anche l’ex sottosegretario Armando Siri (poi non riconfermato da Conte) intercettato nell’inchiesta: “Siri ci lavora un secondo per guadagnare 30 mila euro“, diceva a telefono Arata, oggi indagato dalla Procura di Roma per avere corrotto l’ex sottosegretario con una mazzetta da 30 mila euro. Oggetto della corruzione, secondo l’accusa, un emendamento sulle “r i nnova bili” che avrebbe aperto al gruppo Arata-Nicastri nuovi e lucrosi affari sul mini eolico in Sicilia e nel resto del Paese. “Guarda che l’emenda – mento passa”, dice Arata il 10 settembre, aggiungendo: “L’emendamento è importante. Sono milioni per noi l’emen – damento, che cazzo”. Secondo le indagini, i due avevano stabilito una sinergia imprenditoriale ramificata in decine di società: “Sono stati acquisiti elementi di prova –scrive la Dia –circa l’esistenza di un reticolo di società, tutte operanti nel mercato delle energie rinnovabili, facenti capo solo formalmente alla famiglia Arata (oltre a Paolo, anche al figlio Francesco e alla moglie Alessandra Rollino), ma di fatto partecipate occultamente da Vito Nicastri, vero regista delle strategie imprenditoriali, considerato dal medesimo Paolo Arata “la persona più brava dell’eolico in Italia”. Negando ogni rapporto con la mafia Nicastri si definisce “s vil up pat ore ”, e ha spiegato che la sua attività consiste n el l ’accompagnare i grandi gruppi quotati in borsa nella giungla siciliana degli appalti dell’eolico e del fotovoltaico. UN ESEMPIO l’ha fornito alla Dia il geometra Giuseppe Li Pera, vecchia conoscenza degli investigatori dai tempi del patto del “tavolino”, tra mafia, politica e imprenditoria, che con Nicastri ha lavorato rappresentando la Alerion Green Power. Quando gli obiettò che i suoi prezzi erano fuori mercato, Nicastri gli rispose: “Sen – za di me questi lavori non li farete, perché sul territorio non ve li fanno fare, perché non conoscete u zu Totòeu zu Nicola del posto”. I rapporti con le cosche sei anni fa gli costarono una maxi-confisca di beni da un miliardo e 300 milioni di euro, il valore delle 43 società utilizzate per gli affari di eolico e fotovoltaico, in Sicilia, Lazio e iCalabria. E oggi passate tutte allo Stato. E se quella misura nel 2013 portò a galla numerosi episodi corruzione persino con gli uffici del demanio e delle servitù militari della Sicilia, a mettere Nicastri oggi nei guai è stata una vicenda di vecchia e nuova mafia: 60 ettari di terreni coltivati a vite acquistati a un’asta giudiziaria per 138 mila euro e rivenduti a mezzo milione, con una busta di denaro arrivata, come ha rivelato il pentito Lorenzo Cimarosa (“Sono sempre più fiero e orgoglioso di mio papà”ha detto il figlio Giuseppe) al superlatitante Messina Denaro. I terreni erano di Giuseppa Salvo, sposata con Alberto, nipote di Ignazio, il potente esattore di Salemi assassinato dai corleonesi nel settembre del 1992, che su quei fondi ereditati dal padre aveva chiesto alla Regione i contributi sui diritti di reimpianto. “Mi ha detto che praticamente erano i soldi dell’impianto di… di quello degli impianti eolici di Alcamo, e che c’erano stati problemi, ci fai sapere che c’erano stati problemi, perché aveva tutte cose sequestrate e i soldi tutti insieme non glieli poteva dare, perciò glieli avrebbe dati in tante tranches. La busta la portai a Francesco Guttadauro”. Dichiarazioni rafforzate dalle parole di un’avvocata veneziana amica di Alberto Salvo, Chiara Modica Donà delle Rose: “Ricor – do distintamente che Salvo ebbe a dirmi che attraverso Nicastri, Messina Denaro avrebbe ottenuto la grande soddisfazione di appropriarsi di beni che appartenevano alla famiglia Salvo, senza aggiungervi altri particolari”.