Giuseppe Sarcina

Una parte dei mille soldati americani lascia il confine con la Turchia, si sposta in Iraq e da lì controlla i pozzi di petrolio in Siria. Questo è il piano dell’amministrazione Usa che emerge, non senza margini di incertezza e confusione, dalle parole del Segretario alla Difesa, Mark Esper, in missione a Kabul, e da quelle di Donald Trump. Il Segretario di Stato Mike Pompeo, ci aggiunge una minaccia inedita e con una potenzialità dirompente: «Noi siamo per la pace, ma il presidente Trump è totalmente preparatoaintraprendere un’iniziativa militare contro la Turchia, se sarà necessario». Pompeo, però, non aggiunge altro. E al momento l’unica cosa certa è che tante persone, comprese anziane signore, hanno lanciato patate controiblindati dell’esercito, mentre se ne andavano dalla cittadina curda di Qamishli. Gli ortaggi erano conditi con insulti pesanti: «bugiardi», «traditori», «ratti». Le immagini, trasmesse a ciclo continuo dalle tv, stanno indignando l’opinione pubblica, democratica, repubblicana o agnostica che sia. Dal Pentagono arrivano notizie di generali furenti. Esper ha spiegato che le forze americane smantelleranno i presidi nel Nord-Est della Siria, abbandonando i curdi al loro destino. Circa 200 unità, però, rimarranno a protezione della base di Tanf, nel Sud del Paese. Il resto del contingente si trasferirà nel Kurdistan iracheno, come ha già cominciato a fare, riferiscono le agenzie di stampa. Da lì sorveglieranno i pozzi petroliferi siriani per evitare che cadano sotto il controllo dell’Isis. La geografia dà un senso politico alla manovra del Pentagono. Il grosso del greggio si trova nella zona di Ash Shaddad, a ridosso della frontiera orientale tra Siria e Iraq e a 143 chilometri da Qamishli, ben al di fuori della «zona di sicurezza» del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. In questo modo i turchi avrebbero via libera, ma gli Usa garantirebbero il nuovo equilibrio, controllando, sia pure dal territorio iracheno, un’area nevralgica per l’economia siriana. Tutto ciò a condizione che regga la tregua di cinque giorni, in scadenza oggi, concordata tra Erdogan e Mike Pence; che i curdi si ritirino davveroeche ci sia l’avallo di Bashar Assad e soprattutto del suo sponsor Vladimir Putin. Il leader russo e quello turco ne parleranno direttamente in un vertice a Sochi. Poi, il 13 novembre, Erdogan arriverà a Washington. Lo schema può durare solo se Trump non cambierà nuovamente idea. Ieri il presidente ha fornito un particolare interessante: «voglio portare tutti i soldati a casa, ma Israele e Giordania ci hanno chiesto di mantenerne alcuni in Siria».