Giuseppe Sarcina
La missione italiana di William Barr apre un altro fronte polemico anche negli Stati Uniti. Secondo la ricostruzione del New York Times, il ministro della Giustizia arrivò in Italia a metà agosto senza neanche comunicare il motivo della visita ai funzionari dell’ambasciata Usa. Barr era accompagnato dal procuratore federale nel Connecticut, John Durham, ora a capo di un team al Dipartimento di Giustizia con un incarico speciale: condurre una controinchiesta sul ruolo dell’Ucraina nelle elezioni del 2016 e sulle origini del «Russiagate», l’inchiesta del Super procuratore Robert Mueller. Barr e Durham si muovono sulla base di una teoria cospirativa. L’Fbi avrebbe iniziato a scavare nei rapporti tra il comitato elettorale Trump e il Cremlino su ordine dell’amministrazione di Barack Obama. Ieri lo stesso Trump lo ha spiegato così ai giornalisti: «Ero io sotto osservazione». Non basta, Obama avrebbe chiesto la collaborazione di governi alleati, della Gran Bretagna, dell’Australia, dell’Italia. Questa è la tesi di George Papadopoulos, consigliere per un breve periodo della campagna elettorale di Trump: ha raccontato prima all’Fbi e poi nel suo libro Deep State Target che era stato il professor Joseph Mifsud a rivelargli l’esistenza di mail rubate dai server di Hillary Clinton. Papadopoulos aveva incontrato Mifsud a Londra e poi a Roma e, nel frattempo, aveva riferito tutto all’ambasciatore australiano nella capitale britannica e a funzionari del governo greco. Il team speciale di Durham sta percorrendo tutte queste tracce, ma in modo irrituale, come se fosse una questione privata da sottrarre ai normali canali diplomatici. È singolare, però, che Barr non sia andato nell’unico posto davvero utile per i suoi accertamenti: Mosca. L’intelligence Usa e Mueller hanno raccolto le prove che dimostrano come siano stati i russi a tramare contro Hillary Clinton.