Giuseppe Smorto
Di questi tempi, è una notizia clamorosa. «I soldi ci sono: sono tanti e vanno spesi bene». Rocco Sabelli deve distribuirli: ha in tasca il portafogli dello Sport italiano, esperienza non meno facile rispetto a Tim, Piaggio, Alitalia. Da ad di “Sport e Salute” incarna quella riforma targata Lega-M5S che ha cambiato il Coni. Una riforma che il nuovo governo non vuole toccare. Schematizzando: Sabelli si occuperà dei conti e dei praticanti (l’Italia solo 23ª in Europa), il presidente del Comitato olimpico Malagò dei campioni. Troverete il primo più spesso sulle pagine di cronaca, economia o Salute, l’altro su quelle di sport, magari mentre canta l’inno a Tokyo 2020. Al momento sono separati in casa al primo piano del Palazzo H del Foro Italico e rischiano perfino di incontrarsi alla toilette. La riforma non è stata indolore: ma dietro la grottesca polemica sui posti in tribuna d’onore c’è di più. Come se si dovesse passare a una fase 3.0, da una gestione moderna ma paternalistica, appesa alle medaglie e ai denari del calcio, a una più manageriale con criteri da non rimettere in discussione ogni anno. Ingegner Sabelli, lo sport è una foto del Paese: secondo il Censis, ci si muove di più al Nord che al Sud, gli uomini più delle donne, in centro più che in periferia: siamo sportivi seduti. «E noi dobbiamo liberare risorse. Ho studiato i bilanci delle federazioni: il 33% dei soldi è destinato alle spese generali, solo il 67 alle attività. C’è una voragine fra i procuratori milionari che pescano fino ai ragazzini e le povertà della base. E invece l’educazione al movimento è un diritto, è una risposta a emergenze sociali e sanitarie». E voi che fate? «Vari progetti pilota: come quello che destina 7 milioni alle famiglie povere in base al loro Isee, agli over 64, ai ragazzi con problemi come l’obesità, individuati da uno screening medico. Tutto gratis». E per la scuola? «Un progetto per le quarte e quinte elementari, cinquecentomila studenti e 4000 tutor provenienti dalle facoltà di Scienze Motorie in classe». Maggiore efficienza o allargamento della base: lei perché è qui? «Perché mi piace la sfida: non ho nemici ma nemmeno amici: devo solo spendere fino all’ultimo euro i 410 milioni che la legge ci assegna ogni anno. Soldi pubblici, sottolineo. Che potrebbero anche crescere e ci arrivano con un meccanismo preciso: sono il 32% delle tasse versate dal mondo dello sport, dalla Juventus fino alla più piccola delle società. I ricchi pesano e aiutano». Mai così tanti da quando è tramontato il Totocalcio. «Il conto totale a oggi è di circa 470 milioni. Abbiamo un piccolo tesoretto, 60 milioni di maggiori entrate. Soldi che andranno alle federazioni, alla scuola, alle periferie con criteri precisi e oggettivi, parametri e algoritmi». Più trasparenza? «Diciamo più metodo. La scommessa è quella di fare una Finanziaria dello sport italiano». Più facile leggere i bilanci o capire la differenza fra un ente di promozione vero e uno finto? «Di sicuro è difficile ricordarsi facce e nomi delle federazioni, delle Benemerite, discipline associate, delle società militari, dei comitati regionali e provinciali, dei probiviri. E appunto degli Enti di Promozione, quelli grandi come Uisp e Csi, fino ai più piccoli. Con loro abbiamo aperto tre tavoli di confronto». Una struttura elefantiaca. «Una struttura da semplificare». Semplifichiamo: prima i soldi li distribuivano gli altri, ora voi. «Sì, ma misurando e tracciando le attività. Senza rischio di conflitto di interessi. Ma lo sa che molte federazioni sono gelose dei loro dati? In termini numerici, i centri di aggregazione legati allo sport superano qualunque altro luogo di incontro collettivo. Mi batterò per creare un grande database dello sport italiano. Sarà più facile arrivare all’utente e alle sue esigenze, per capire dove e come pratica un disciplina, e che cosa cerca intorno a casa sua». Alla fine si torna sempre ai Big Data e al geomarketing. «E a progetti comuni. Unico canale di spesa e di gare, gestiremo tutti gli appalti per gli impianti. Che sono 56.000, secondo il nostro censimento. Dall’Olimpico di Roma in giù». Argomento caldo. Non mancano le cattedrali nel deserto. A partire dalla vela di Calatrava che dà il benvenuto a Roma Sud. L’emergenza impianti c’è soprattutto nelle periferie. «Ci sono sul piatto 400 milioni per 4 anni. Sono soldi a fondo perduto per rigenerare strutture, la media di ogni intervento è di 350-400 mila euro. Solo l’8% della somma stanziata è stata spesa. Magari non per colpa nostra, ma per i tempi lunghi delle giunte comunali e della burocrazia. Assumeremo ingegneri e progettisti, anche questo lavoro verrà centralizzato». In effetti, per un campo di volley, lo stesso disegno potrebbe valere a Savona, Pescara o Reggio Calabria. «Prima ne facevano tre diversi. L’importante è che siano impianti senza problemi di accesso, abbiamo ancora campi senza spogliatoi per le donne, percorsi a ostacoli per i disabili. La strada è lunga». Auguri, non sarà facile. E dove metterete tutti questi risparmi? «Li reinvestiremo nello sport italiano».