Goffredo De Marchis
Sarà pure il “moviola” per dire con un soprannome che è scattante come un gesto al rallentatore, ma ha fatto un sacco di strada. Da direttore di Nuova Ecologia (1984), mensile di Legambiente, rivista non di nicchia ma di supernicchia (cioè la leggevano quattro gatti) dove Paolo Gentiloni dirigeva una redazione di sole e agguerrite donne a ministro degli Esteri, poi premier e infine commissario europeo col portafoglio più pensate: gli Affari economici. Simbolo, con David Sassoli, dell’Italia che conta in Europa. Si può dire che, insieme, i due incarichi pesino alla stregua di quello importantissimo svolto da Mario Draghi alla Bce. «Come Paese fondatore non potevamo accontentarci di stare in terza fila a borbottare», ha spiegato ieri sera il neocommissario al Tg1.
Gentiloni non borbotta. Per molto tempo è stato semmai l’uomo che sussurrava ai potenti, da Rutelli a Veltroni. Tessitore dietro le quinte, artefice delle carriere altrui prima di mettersi in proprio. Non è brillante, sembra venire da una scuola democristiana pur essendo cresciuto nei movimenti extraparlamentari di sinistra ma sempre con l’aplomb delle nobili origini (Paolo Gentiloni Silveri, conte di Macerata, Filottrano, Tolentino e Cingoli, sarebbe il nome araldico completo). Non è mite come sembra però. «Io raramente sono cedevole », scriveva in un sms qualche giorno fa. E provate a descriverlo appunto come “il mite Paolo”. Guai, Matteo Renzi spedisce subito un messaggino: «Mite un cavolo». I due non sono più amici da tempo.
Non perde le staffe, questo no. Non dà in escandescenze. Da ragazzo, negli anni ‘80, giocava a tennis con Francesco Rutelli, Ermete Realacci e Massimo Cacciari. Ogni volta che vede il filosofo sbraitare in televisione si ricorda i consigli del compagno di doppio. «Li devi odiare, Paolo. Li devi volere morti, stramazzati per terra», gli urlava Cacciari. E lui un po’ rideva un po’ cercava di eseguire.
Ha combattuto silenziosamente ma senza tregua anche per l’incarico assunto ieri. Per avere le deleghe piene ovvero quelle del predecessore Pierre Moscovici, per piegare le resistenze dei Paesi rigoristi del Nord Europa. Testardo e diplomatico. A differenza di Giuseppe Conte infatti non dice «cambiamo il patto di stabilità» che è impresa titanica e di anni, ma parla di «cambiamento delle politiche di sviluppo e di crescita». Insomma, prima di tutto bisogna interpretare le regole. «Avremo margini di flessibilità con un’Unione meno ostile. Saremo in grado di fare anche noi una manovra espansiva», è la sua promessa. Ha accettato senza fare drammi di avere il falco Dombrovskis vicepresidente con una delega all’economia. Troveranno il modo di andare d’accordo.
Gentiloni sa aspettare, è caparbio. Oggi fa il commissario europeo con i voti di Grillo, lo stesso Grillo che nel 2007 gli aizzava contro Piazza Maggiore a Bologna. «Gentiloni lo mandiamo affanc…» e la gente chiudeva la frase.
Romano di Roma, si trasferirà a Bruxelles con la moglie Manù, architetto. Nella capitale abita in un palazzo nobiliare in pieno centro, a pochi passi dal Quirinal e. Sul citofono c’è sempre lo stesso cognome: sono tutti zii, cugini, parenti. È scaramantico e fino a martedì continuava a scuotere la testa: «Vedrai, mi manderanno all’Industria, al Commercio, un portafoglio di poco peso». Ai colleghi deputati citava la frase dell’allenatore Boskov respingendo le felicitazioni: «Rigore è quando arbitro fischia». Un modo elegante per fare gli scongiuri.
«Sono uscito dal frigorifero», disse quando fu nominato ministro degli Esteri. L’esperienza che lo ha rilanciato, ne ha fatto un leader europeista e filo atlantico ma dialogante con Mosca. Del ministro degli Esteri Lavrov dice: «È l’uomo più intelligente che ho mai conosciuto ». Veniva dalla catastrofica corsa per diventare sindaco di Roma (arrivò terzo alle primarie del Pd), era finito nella nutrita schiera dei peones parlamentari. Con Renzi c’è stata una sintonia totale fino al cambio della guardia a Palazzo Chigi. Poi, è sceso il gelo. Lentamente, inesorabilmente. Era inevitabile, uno faceva ombra all’altro. Dopo il 4 marzo 2018 Renzi attaccò direttamente il neocommissario, ma anche in un audio rubato qualche giorno fa accusava Gentiloni di voler sabotare l’accordo con i 5 stelle. E invece su quell’accordo l’ex premier ha costruito la sua scalata a Bruxelles. Dove impareranno a conoscere il non mite Gentiloni. E la sua ironia caustica: a una manifestazione del Pd un militante arrabbiato continuava a gridare a lui e a Letta: «Tirate fuori le palle». Gentiloni si voltò di scatto: «Proprio adesso?».