Goffredo De Marchis

Giuseppe Conte assaggia una salsiccia nello stand del ristorante: «Ho origini di campagna, sono un uomo del popolo». Beve un sorso di birra: «Ma vado a una cena con il presidente tedesco Steinmeier. Devo arrivare lucido». La piccola folla della festa di Articolo 1, il partito di Roberto Speranza e Pier Luigi Bersani, che si è ritrovato al governo nel vortice dell’estate, accoglie il presidente del Consiglio come un “compagno” circondato dalle bandiere rosse. Dice Massimo D’Alema, fotografato sorridente accanto all’ospite poi seduto in prima fila ad ascoltare l’intervista con Enrico Mentana: «Mi fido di lui. Il suo discorso è convincente. Ha un modo semplice di spiegare le cose diciamo». E non si capisce quanto sia rotondo questo complimento. Non c’è soltanto il ribaltone della maggioranza, alla fine della crisi di agosto. C’è un nuovo ruolo politico che Conte intende ritagliarsi dopo aver vissuto 14 mesi schiacciato nel duello tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Ieri era da Articolo 1, nello spazio di Testaccio dedicato all’Altra economia, ma domani andrà alla kermesse di Giorgia Meloni e domenica alla festa del lavoro della Cgil. Fuori dal Palazzo, quindi, presente nella vita dei partiti. «Militate, fate politica, prendetevi il vostro futuro», dice ai ragazzi della festa. Lui che non ha mai militato, come rivendica. Poi, prende il fazzoletto dei partigiani e mette in tasca un volantino dell’associazione per la liberazione di Lula. Nel frattempo, D’Alema si rifiuta di commentare la scissione di Renzi ma sentenzia: «Il suo Pd è finito». Dal palco Conte dà un orizzonte temporale al suo bis: «Non vendo fumo, non posso dirvi che in pochi mesi il Paese verrà riformato. Occorrono un paio d’anni». Prende applausi quando conferma «mai più con Salvini all’infinito». Zero battimani invece quando spiega la sua ricetta per l’immigrazione: «Non possiamo consentire a chiunque di entrare, dobbiamo controllare i nostri confini. È un approccio pragmatico». Che non convince i compagni fino in fondo. Durante la lunga intervista gli applausi sono rari e tiepidi. Come durante una fase di studio, la forza di sinistra annusa l’uomo che fino a poche settimane fa governava con Salvini ma ora li ha portati al governo con il ministero della Salute per Speranza. Infatti qui c’è lo stato maggiore dell’alleato di sinistra: Nico Stumpo, Arturo Scotto, Guglielmo Epifani, Federico Fornaro e Loredana De Petris. Ovviamente i dirigenti sono più calorosi dei militanti. Illuminati da un esito inaspettato. Apprezzano le parole sull’Europa: «Un progetto diverso come quello che aveva Salvini è velleitario, ma l’europeismo fideistico lo combatto». Conte dice di non aver mai pensato alle Ong come «nemiche del popolo». Bene, applaudito. «Vi sfido a trovare nei miei discorsi parole di odio, di discriminazione». Insomma, ci tiene a marcare la distanza dal leader leghista, anche nella gestione dell’immigrazione. «Con quel vicepremier ricollocare i migranti era un problema. Passavo i week end a chiedere cortesie personali ai Paesi europei. Adesso c’è un approccio più coerente. Non sono più cortesie». Si capisce quanto abbia sofferto in silenzio la presenza alle costole di Salvini. Anche se l’intervento è senza fuochi d’artificio, fa capire di sentirsi più a suo agio nel nuovo governo. «Ho una formazione di sinistra, nel solco del cattolicesimo democratico». Risponde a Alessandro Di Battista che semina dubbi sul Partito democratico: «Io mi fido del Pd». E dei sindacati: «Senza tornare alla concertazione, credo nel pieno confronto e voglio ascoltare tutti. Non come faceva qualcun altro». Cioè sempre lo stesso. Persino quota 100, la bandiera leghista, viene derubricata a «omaggio» per le persone che stavano vicine alla pensione e l’avevano vista sfumare all’ultimo. Niente di più. Quest’opera di rimozione, il calarsi nella vita attiva dei partiti, la rivendicazione prudente di un ruolo politico serve a presentarsi sempre di più come argine al sovranismo, come antagonista diretto di Salvini. Lo stesso profilo che cerca Renzi. «Avrei dovuto sapere prima della scissione», ripete Conte. Ma non cerca la polemica anzi vuole una pace: «Questo non significa che la sostenibilità del programma sia venuta meno».