Grazia Longo
«La sentenza con cui la Cassazione ha escluso l’aggravante mafioso nell’inchiesta di Mafia capitale è stata da molti strumentalizzata. Il verdetto ha, infatti, confermato l’esistenza di un gruppo criminale di corruttori che ha operato nella capitale e il giubilo con la quale da alcuni commentatori è stata accolta accredita l’idea che sia grave solo ciò che è mafioso; e questo finisce per essere una brutta sottovalutazione della corruzione». Raffaele Cantone, che negli ultimi cinque anni ha guidato l’Autorità nazionale anticorruzione e da poco è rientrato in Cassazione, è in sintonia con l’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, che ieri, su La Stampa, ha ribadito che la mafia a Roma esiste perché anche se «non è una città mafiosa, operano in essa più associazioni mafiose». Perché si può affermare l’esistenza della mafia? «Nonesiste unapervasività tale da definire Roma una città mafiosa. Ma da qui a dire che non esistano organizzazioni mafiose ce ne passa. Esistono quelle esterne – ‘ndrangheta, Cosa nostra e camorra – ma anche forme autoctone come i clan Spada e Casamonica, come confermatodadiversipronunciamentidellaSupremacorte». In che modo corruzione e criminalità organizzata hanno inquinato le attività del Comune della capitale? «La corruzione ha drogato la concorrenzacheavrebbedovuto esserci nel sistema degli appalti pubblici ma ha inquinato anche il voto, e quindi la democrazia; elementi tutti che sono emersinellesentenze,suquesti aspetti pienamente confermati in tutti i gradi di giudizio. Su questo sistema pervasivo l’impressione è che si voglia voltare paginatroppoinfretta,senzafare una discussione approfonditasulsistemadimalaffareemerso e sui rischi, tutt’altro che esclusi,chepossatornare». Condivide l’idea di Pignatone sulle dimensioni preoccupanti del riciclo e del reinvestimento di capitali illeciti? «Sì, nella capitale, come dimostratodalletanteconfische,sono attivi canali di riciclaggio delle mafieesterne inristoranti, locali notturni, immobili e attivitàcommerciali». Corruzione e criminalità organizzata rappresentano secondo lei un pericolo grave per la nostra vita civile? «Questi fenomeni incidono sulla convivenza civile. La presenza di soldi sporchi, ad esempio, droga il mercato e chi paga le conseguenze sono proprio i cittadini e gli imprenditori onesti, danneggiati dalla concorrenza slealedeldenaro“facile”». Il controllo di questi fenomeni di illegalità deve avvenire solo da parte del giudice penale o anche da parte di ogni livello sociale e dei cittadini? «Questi fenomeni alimentano di consenso e di distrazione sociale. C’è sottovalutazione sociale, il proliferare delle mafie nasce dal disinteresse del cittadino che,adesempio,nonèsolidaleconchi denuncia.C’è dunque bisogno di attività educativa. E serve innanzitutto un’operazione verità. L’idea di essere accomunati a mafiosi o corruttori fa male al Paese e allora si tende a ridimensionare il fenomeno. Manonsipuòfarlopassareinosservato, non si deve alimentare lasottovalutazioneculturale». Si può rompere il circolo vizioso corruzione-illegalità-spaccio di droga? «Si deve rompere. La droga, comedimostrano gliultimieventi di cronaca, deve diventare una priorità dell’agenda politica. E invece l’impressione è che non si voglia affrontare il fenomeno con una strategia chiara, pensando di affidare il problema solo al momento repressivo. Eppure la droga finisce per riguardare strati sociali fra loro molto diversificati e d’altro canto gli enormi proventi dello spaccio incidono sull’economia, in modo devastante. È un fenomeno digrandecomplessitàmanonè nascondendo la testa sotto la sabbiachelosirisolve». Come per la corruzione? «Sisonofattiprogressisul fronte della lotta alla corruzione perchésièindividuataunastrategiachemetteinsiemeprevenzione e repressione. L’Italia ne ha beneficiato guadagnando negli ultimi 4 anni 16 posizioni,nellaclassificadiTrasparency international. Si tratta però diunastrategiaappenaavviata e che richiede tempi lunghi e la volontà di non abbassare la guardia».