Guido Santevecchi

Seduto in una terrazza a forma di colosseo che domina il Padiglione Italia alla China International Import Expo di Shanghai, Luigi Di Maio manda una serie di messaggi. «Faremo i conti sull’interscambio con la Cina e sulle nostre esportazioni a marzo del 2020, a un anno dalla firma del memorandum d’intesa sulla Via della Seta». E ancora: «L’intesa firmata a Roma con Xi Jinping ha dato un grande sviluppo alle relazioni bilaterali ed è anche un’apertura di credito, la Via della Seta vale più dei soli investimenti e dei commerci e qui a Shanghai ho detto chiaramente ai cinesi che ci aspettiamo ancora di più e che i nostri due Paesi non sono mai stati così vicini». Bene, ma qual è lo stato dei rapporti con la superpotenza americana? Di Maio sembra rilassato: «Credo che il presidente Trump, che è un uomo di business, abbia sempre compreso l’importanza che noi diamo all’export e al commercio estero, noi abbiamo necessità di guardare a Est; ma dagli Stati Uniti non è mai arrivato un attacco sulla Via della Seta; l’unica preoccupazione che avevano gli americani, e che avevamo anche noi, è sul 5G» (quello di Huawei, ndr). Il ministro degli Esteri sostiene che l’Italia sulle reti per telecomunicazioni di quinta generazione ha introdotto la normativa più restrittiva d’Europa e «ora speriamo che tutti i Paesi europei ci seguano su queste regole di sicurezza». A Shanghai il leader del Movimento5Stelle ha ripetuto che l’adesione italiana alla Belt and Road Initiative di Xi Jinping ci dà una grande possibilità di promozione commerciale del made in Italy. Però la Via della Seta è un megaprogetto di infrastrutture per connettere Asia ed Europa, passando dall’Africa, ci sarebbero cantieri per centinaia di miliardi di euro per lastricare il percorso, con linee ferroviarie, autostrade, centrali elettriche, porti e aeroporti. Si era parlato di collaborazione tra imprese italiane e cinesi in Paesi terzi e di investimenti di Pechino nei porti italiani. Poi, dopo la firma del memorandum a marzoaRoma, questi piani sono stati oscurati e si parla solo di export, soprattutto agroalimentare. Risponde Di Maio: «A Roma abbiamo convocato un tavolo Italia-Cina per coinvolgere le nostre imprese delle infrastrutture; per i Paesi terzi dove impegnarci guardiamo all’Africa, dove ci sono progetti avviati dai cinesi che si aspettano la nostra collaborazione, con stile e standard di qualità italiani». Poi un annuncio: «Si firma l’accordo tra Porto di Trieste e CCCC, colosso cinese delle costruzioni. Significa che a Pechino sono interessati a investire da noi per la Via della Seta marittima, guardano anche a Taranto. E il nostro obiettivoèsempre di rafforzare le esportazioni e le nostre industrie». Spiega Ettore Sequi, per quattro anni ambasciatore a Pechino e ora capo di gabinetto della Farnesina: «L’intesa con Trieste serve ad aprire la rotta per i prodotti italiani verso la Cina». Dice al Corriere Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità portuale di Trieste: «Siamo alla fase due rispetto alle intese di marzo. I cinesi si sono impegnati a investire in due piattaforme logistiche nell’area di Shanghai e del Guangdong, collegate con Trieste per favorire l’export di prodotti italiani. Non è in discussione il controllo del nostro porto, che resta italiano, a noi non interessano i soldi cinesi, non siamo disperati come i greci del Pireo, noi vogliamo portare valore nel nostro territorio, costruendo una opportunità di crescita per la città e per le impr ese italiane dell’export». In conclusione, secondo il ministro degli Esteri: «L’agenda economica rimane centrale nei rapporti tra Roma e Pechino. Perché la Cina è il nostro quinto partner commerciale e per l’industria italiana un mercato di sbocco ineludibile». L’impossibilità per i Paesi europei (ma anche per gli Stati Uniti) di rinunciare a un mercato di 1,4 miliardi di consumatori è l’asso di Xi nel poker della globalizzazione. Di Maio vuole restare al tavolo e per valutareibenefici economici eicosti politici chiede di fareiconti nel 2020. Non manca molto per vedere le sue carte.