Ilaria Proietti
Un primo tentativo l’aveva già fatto alla fine dello scorso anno: stoppato in extremis. Poi è tornata alla carica a luglio, ma la sua richiesta è stata respinta con danni. Ora però la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha deciso di forzare la mano e andare fino in fondo: è intenzionata a revocare lo stato maggiore di Palazzo Madama guidato dal segretario generale Elisabetta Serafin che è diventata il suo bersaglio più grosso. E così sostituire con persone di sua più stretta fiducia, gli attuali vertici della macchina amministrativa del Senato che conta su 644 dipendenti e un budget di 490 milioni di euro all’anno.
L’AFFARE, insomma, è delicatissimo. E almeno finora i gruppi parlamentari hanno resistito ai desiderata di Casellati e del suo cerchio magico: l’ex Guardasigilli del governo Berlusconi, Nitto Palma, che la presidente ha voluto a tutti i costi al suo fianco nel ruolo di potentissimo capo di gabinetto oltre che consigliori più ascoltato. E Claudio Galoppi, toga di punta di Magistratura Indipendente, arruolato come vice capo di gabinetto al Senato dopo la fine del suo mandato al Consiglio superiore della magistratura, consesso in cui ha seduto per anni al fianco della stessa Casellati. Ma partiamo dalla fine. Martedì 8 ottobre, la presidente ha invitato a pranzo nella sua dimora a Palazzo Giustiniani, i capigruppo dell’opposizione. Attorno al tavolo Anna Maria Bernini di Forza Italia, Massimiliano Romeo della Lega e Luca Ciriani di Fratelli d’Italia, convocati per affrontare la questione che le sta più a cuore: la sua esigenza di liberarsi dei vicesegretari generali e dei direttori degli uffici del Senato che rispondono al segretario generale Serafin, che invece li vorrebbe prorogare. Il mercoledì precedente, ma a cena, Casellati aveva tentato di sensibilizzare sull’argomento anche i capigruppo della maggioranza Gianluca Perilli (M5S), Andrea Marcucci (Pd), Davide Faraone (Italia Viva), Loredana De Petris (Misto) e Julia Unterberger (Autonomie). Anche in quella occasione il menù era stato lo stesso: tra un fiore di zucca imbottito e un branzino, tra una chiacchiera sulla situazione politica e il calendario dei lavori, era tornata a bomba. Questa volta con maggiore determinazione: sventolando un parere dell’Avvocatura dello Stato che le darebbe la copertura giuridica per procedere con le sostituzioni e finalmente mettersi alle spalle mesi e mesi di una guerra sotterranea ai massimi livelli della Camera alta del Parlamento italiano. Come? Convocando a breve il Consiglio di presidenza dove sono rappresentate tutte le forze politiche che saranno chiamate ad approvare le sue scelte. Dopo lo scivolone di luglio quando Casellati aveva tentato il blitz con un risultato che si era rivelato disastroso oltre che imbarazzante. Il perché è presto detto: prima della pausa estiva, al concistoro di Palazzo Madama –il Consiglio di presidenza dove siedono, al fianco di Casellati, i quattro vicepresidenti del Senato, i tre senatori questori e i 9 segretari –che aveva convocato per defenestrare i più alti funzionari dell’amministrazione non si era presentato praticamente nessuno. E anzi per tutta risposta più d’uno le aveva fatto intendere chiaramente l’intenzione di disertare la riunione finché non si fosse decisa a cambiare l’ordine del giorno. E così la Presidente era stata costretta a soprassedere ancora una volta.
PERCHÉ CASELLATI aveva cominciato a preparare il terreno per lo spoils system già pochi mesi dopo il suo insediamento. Contando di portare a casa il risultato a dicembre dopo l’approvazione del bilancio interno. E così prendere il pieno controllo della macchina che sente resisterle. Ma l’aula di Palazzo Madama il giorno dell’approvazione del documento aveva fatto muro, con un tributo corale al lavoro di Serafin e del suo staff. Una blindatura in piena regola.