Indro Montanelli

Raccolgo alla svelta, e un po’ alla rinfusa (la notizia della sua morte ci coglie di sorpresa e a tarda ora), i miei pochi ricordi su Craxi. (…) Ricordo la bagarre finale del congresso al Midas di Roma (nel luglio 1976), che lo acclamò trionfatore. (…) Da quel momento, a Milano, ci fu una moda-Craxi, o una Craxi-moda. I salotti se lo contendevano, le signore lo trovavano perfino avvenente, o almeno sexy. (…) Nel merito delle accuse che gli piovvero addosso, non voglio entrare. Forse ci furono delle esagerazioni e degli accanimenti. Forse in ciò che ha detto sua figlia dinanzi al cadavere del padre — «Non è morto, lo hanno ammazzato» — c’è qualcosa, e più che qualcosa, di vero. Ma dobbiamo ammettere che la sua battaglia d’imputato Craxi la condusse proprio da guappo di cartone, e ne sbagliò tutta la sceneggiatura. Peccato. Era la prima volta che il Partito socialista italiano aveva trovato un uomo, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da leader. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. Perché di coraggio ne aveva. Non ricordo in quale occasione, una volta seguii sul video un intervento di Craxi dal suo banco di governo alla Camera. Per due volte s’interruppe alla ricerca di un bicchier d’acqua. Per due volte Andreotti, che gli sedeva accanto, glielo porse. E per due volte egli lo bevve. ( 20 gennaio 2000)