Laura Montanari
Nella palestra di Ponte San Giovanni a metà pomeriggio, a qualcuno del Pd viene un dubbio: «Non è che abbiamo messo poche sedie?». In effetti, i 250 posti in platea si riempiono subito e almeno il triplo delle persone che arriva, resta in piedi, fra i due canestri del campo da basket e i manifesti con la faccia del candidato presidente per le elezioni regionali che nasce dall’accordo Pd-M5s, Vincenzo Bianconi. «Chi si aspettava così tanta gente?» borbotta un pensionato. E invece eccoli, in tanti, anche giovani, studenti universitari, gente senza tessera, militanti o volontari in questa frazione di Perugia che è un grande sobborgo di quasi ventimila abitanti. Comincia dalla periferia la campagna elettorale del Pd aperta ieri dal segretario Nicola Zingaretti. Comincia da un minuto di silenzio che cala pesante come il pensiero che va ai poliziotti uccisi a Trieste. Comincia dai mesi difficili alle spalle, quelli degli arresti per l’inchiesta sulla concorsopoli della sanità in Regione, dal bisogno di rialzarsi dopo la caduta. È la prima volta che Zingaretti viene in Umbria dopo quella ferita: «La terra di San Francesco non sarà mai la terra dell’odio. Siamo qui per evitare che questa regione cada nelle mani di chi stava distruggendo l’Italia». L’ombra di Salvini agita la platea, i tweet martellanti del capo della Lega, i comizi del suo tour elettorale che tallona città e borghi, gli aruspici dei sondaggi che danno il centrodestra in lieve vantaggio, allungano le ansie. Meno di un mese alle elezioni (27 ottobre), con un risultato cosi in bilico tutto si gioca nella campagna elettorale e allora Zingaretti dice: «Siamo in campo, sarò con voi ai mercati, sui bus, vi chiedo umiltà, vi chiedo di guardare la gente negli occhi e non da un dirigibile». Sente, il segretario che c’è bisogno di un impegno collettivo, quasi di un porta a porta negli ultimi cento metri di questa campagna elettorale che è anche un test per la nuova maggioranza alla guida del Paese. Non cita mai Matteo Renzi, tiene fuori dal recinto del suo discorso ogni tema che possa riecheggiare se non divisioni, anche solo visioni differenti, come la multa per chi cambia casacca. Le parole si muovono su un doppio binario: il timore dell’avanzata della destra («i 15 mesi di Salvini hanno dimostrato che l’odio non serve a creare lavoro e coesione sociale, ma soltanto voti. Quell’odio ha prodotto debiti, disoccupazione e un’Italia più debole di quel che era») e la certezza che il Pd è tornato in campo («15mila tessere in 3 giorni»). Rigenerato nelle liste, ma soprattutto nel morale. E su chi mugugna per l’alleanza last minute coi Cinque Stelle il segretario Dem va deciso: «Non viviamo questa unione come un problema: di fronte alla necessità di difendere questa terra, è una grande opportunità, perché noi preferiamo costruire invece che distruggere». Fra gli applausi, ripercorre cos’era il paese con Salvini al governo: «Suonava normale quello che è accaduto a maggio dello scorso anno quando una professoressa è stata sospesa perché ha detto ai suoi ragazzi “studiate la storia” e quei ragazzi hanno detto quello che pensavano: ma noi abbiamo ereditato un’Italia democratica in cui il vero reato è l’apologia di fascismo, non di antifascismo», arringa Zingaretti. Altri applausi, poi mentre sta riprendendo a parlare, mentre arringa il popolo dem con «dovete combattere, tiriamo fuori tutta la passione possibile accanto a Bianconi…» nel silenzio della sala si sente ringhiare un cane e il segretari dal palco scherza male: «È arrivato Salvini…». Risate in platea. Si chiude sulle note di “The miracle” degli U2, forse un augurio. In prima fila nella palestra di Ponte San Giovanni, c’era il candidato presidente Bianconi così emozionato che salendo sul palco è pure inciampato. Ha detto di «sentirsi a casa, parte di una famiglia ampia di cui condivide i valori». Ha raccontato la sua Umbria di sviluppo, ambiente e politiche sociali, ha sfiorato anche la ferita del passato, l’inchiesta della magistratura senza nominarla: «La nostra è una buona sanità». E ha raccontato di quando gli è stata offerta la candidatura: «Non ho dormito per tre notti».