Laura Serafini

Le privatizzazioni tornano all’improvviso di attualità. Un’«attualità bruciante», come la definiscono alcuni addetti ai lavori, perchè la revisione dell’obiettivo da inserire nel Nadef, nota di aggiornamento del documento di economia e finanza, va stabilita prima del 27 settembre. E che l’intenzione sia quella di ridimensionare il target di incasso da 18 miliardi nel 2019 (1% del Pil) previsto nel precedente documento lo ha chiaramente lasciato intendere il nuovo ministro per l’Economia, Roberto Gualtieri, in un’intervista rilasciata ieri. Il ministro al contempo ha ribadito che le privatizzazioni vanno fatte, anche se nell’ambito di una strategia industriale, e tenendo presente che si tratta di aziende di valore strategico che generano dividendi copiosi. Rivedere al ribasso gli obiettivi di incasso delle dismissioni per il 2019 per un governo europeista come quello attuale – che vuole archiviare come un incidente da dimenticare il rischio di una procedura di infrazione da parte della Ue per debito eccessivo – significa impegnarsi a realizzarli. In un margine temporale che ormai è poco più di tre mesi. E questo restringe praticamente a una le possibilità di intervento, nonostante ci siano ancora scuole di pensiero che ipotizzano vendite sul mercato. La Cassa depositi e prestiti è l’attore principale che sarà probabilmente chiamato a scendere in campo. Nessuna decisione politica al momento è stata presa, anche perchè il nuovo esecutivo si è appena insediato. Il tempo, però, stringe. E se, come sembra probabile, Cdp avrà il compito di comprare quote di partecipazioni pubbliche oggi possedute dal ministero dell’Economia il conteggio degli incassi possibili da realizzare quest’anno deve tenere in considerazione anche l’equilibrio del bilancio della società guidata da Fabrizio Palermo e gli impegni assunti con il piano industriale. Questa delicata alchimia potrebbe rendere verosimile un obiettivo di incasso da almeno 5-6 miliardi (due anni fa da cfo Palermo ha riorganizzato la struttura finanziaria della società recuperando la capacità di generare flussi di cassa aggiuntivi per almeno due miliardi l’anno). E per realizzarlo c’è anche la possibilità di scegliere tra partecipazioni che ha un senso industriale spostare sotto Cdp. Quote di società che nell’ultimo anno e mezzo hanno aumentato sensibilmente la capitalizzazione di Borsa: dunque non ci sarebbe neanche un rischio ipotetico di una “svendita” per le quotazioni depresse sul mercato azionario. Tra queste il 53,38% del capitale di Enav (valore 1,5 miliardi), il 29,26% di Poste (3,9 miliardi), il 13,75% di StMicroelectronics (2,2 miliardi) e infine il 4,34% di Eni (2,2 miliardi). Il totale rasenta i 10 miliardi. Va detto che la condizione per poter vendere le quote a Cdp senza far scattare il veto di Eurostat è quella di girare anche la governance. Oggi Cdp già ha il controllo di Eni (il 25%) e quasi il 30% di Poste, ma la governance è in mano al Mef: l’implicazione più immediata con la governance è la titolarità delle nomine nel board e l’indirizzo strategico. Certamente, però, su entrambe le questioni il ministero dell’Economia manterrebbe il potere decisionale, perchè resta comunque il socio di maggioranza di Cdp. In ogni caso le relazioni industriali con Poste sono elevate(basti pensare alla convenzione per la raccolta postale), così come la quota francese di StM fa capo alla Cdp transalpina. Sicuramente l’ipotesi del passaggio della governance è destinata a creare mal di pancia, soprattutto per quanto riguarda l’Eni. Ma è anche vero che per realizzare l’incasso sopra indicato questa partecipazione non servirebbe, anche perchè le azioni del gruppo petrolifero sono le uniche ad aver perso valore negli ultimi 12 mesi, complice l’andamento del prezzo del petrolio. La cessione delle partecipazioni potrebbe essere anche un passo preliminare verso il progetto Capricorn, che però è ben altra cosa: esso presuppone il trasferimento delle partecipazioni quotate del Mef attraverso conferimento in aumento di capitale, per rafforzare patrimonialmente Cdp e darle più potere di intervento nell’economia.In questo caso la privatizzazione dovrebbe passare poi per l’apertura del capitale di Cassa, ripagando lo Stato ma lasciandolo al contempo in maggioranza.