Lina Palmerini
Un logoramento così rapido e di queste dimensioni forse non se l’aspettavano neanche al Quirinale dove guardano soprattutto al primo effetto: l’impatto della manovra nel giudizio di credibilità e affidabilità dell’Europa. Comunque che di difficoltà questa maggioranza ne avrebbe avute, era prevedibile ma che addirittura si agisse per esasperarle non lo immaginava neppure Conte. Quello che è accaduto ha il suo epicentro prevalente nei 5 Stelle, dove è scattata la competizione di Luigi Di Maio con il premier aggravata dalle divisioni dentro il Movimento che dà chiari segni di ribellismo. La vicenda dell’elezione del capogruppo al Senato – ora l’attesa per quella alla Camera – e la marcia indietro sull’Ilva sono la dimostrazione di quanto Di Maio non controlli più i suoi parlamentari. Dunque ha bisogno di alzare il tiro. Una lotta per la tenuta della sua leadership che fa rimbalzare tra alleati e avversari questa domanda: per non perdere il partito, sarà disposto pure a sacrificare il Governo? È vero che l’altra spina nel fianco è Renzi che ha lo stesso interesse del ministro degli Esteri a consumare Conte ma che non metterebbe mai a rischio la sua neonata creatura affrontando una crisi di Governo e un possibile voto a breve. Lui ha più bisogno di tempo e di una legge elettorale che lo aiuti, per questo conferma l’obiettivo 2022, cioè la data in cui scatterà l’elezione del capo dello Stato. Come ha detto alla Leopolda, non staccherà la spina perché vuole arrivare al traguardo di eleggere il nuovo presidente con questa maggioranza, sfilandolo al centro-destra. Il punto però è proprio questo. Che se dopo due mesi scarsi si è già ai ferri corti, saranno questi stessi alleati in grado di stringere un patto per scegliere il nuovo inquilino del Quirinale? A oggi sembra difficile viste le diffidenze che già sono in circolo e avvelenano i pozzi. Si sa che le votazioni per il Colle scatenano infinite trappole, ma qui sono scattate perfino in anticipo. Nel Pd, che oggi porta la croce, sanno che non ce la faranno a tenere il ruolo di “responsabili” troppo a lungo. Certamente non fino al 2022. Si sono dati come scadenza per un primo bilancio gennaio e la ragione coincide con le elezioni in Emilia-Romagna. Se, cioè, resta la diffidenza con l’alleato 5 Stelle e sfuma la possibilità di stringere un accordo lì, è chiaro che la competizione tra i due partiti si farà più aspra perché dovranno correre da avversari. Sarà una replica di quello che è successo un anno fa quando la tornata delle regionali – e poi le europee – fece esplodere lo scontro tra Salvini e il Movimento. Nel tritacarne rischia di ritrovarsi Zingaretti e insieme a lui Conte, finito nel mirino dei rumors che raccontano di una sua possibile sostituzione. Senza considerare, però, che un’operazione di questo tipo avrebbe come conseguenza una nuova crisi di Governo dagli esiti incerti. Un azzardo per chi sta bluffando e non vuole le urne. In questa chiave va letto il pressing di Salvini su Mattarella che ieri è tornato ad attaccare i «silenzi» del Colle come ad “avvisare” che una nuova rottura dovrà portare al voto.