Lorenzo Salvia

Sono le due misure simbolo del primo governo Conte, quello sostenuto dalla Lega insieme al Movimento 5 Stelle. E non hanno avuto il successo sperato visto che le domande sono state inferiori alle attese, liberando un tesoretto di 2-3 miliardi di euro, che già la maggioranza gialloverde pensava di dirottare verso altre voci di spesa. Ma su Quota 100 e reddito di cittadinanza si concentra l’attenzione del nuovo governo in vista del disegno di legge di Bilancio.

«Quota 100 rimane. Poi se ci saranno dei miglioramenti da fare, per quota 100 o per il reddito di cittadinanza, li faremo. Ma le due misure restano» dice il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo, del Movimento 5 Stelle. Per poi aggiungere che «bisogna lavorare al potenziamento dei centri per l’impiego». Una difesa quasi d’ufficio visto che è stata proprio lei, ormai sei anni fa, a presentare la prima proposta di legge per il reddito di cittadinanza. Ma, anche se è ancora presto per capire quale sarà il punto di caduta finale, qualche correttivo è allo studio per tutte e due le misure. E del resto se ne parla fin dai primi giorni del confronto tra M5S e Pd che ha portato al Conte II.

Quota 100 è la misura che consente di andare in pensione quando a fare 100 è la somma tra l’età anagrafica, a patto che gli anni siano almeno 62, e 38 gli anni di contributi versati. È stata introdotta dal primo governo Conte in via sperimentale e solo per tre anni: 2019, 2020 e 2021. Nel 2022 non ci sarà, a meno di una proroga che al momento viene esclusa. Sempre che da qui alla fine del 2021 ci sia ancora questa maggioranza, ma qui entriamo davvero nel campo dell’imperscrutabile. I possibili correttivi sono al momento tre. Il primo è chiudere Quota 100 un anno prima del previsto, quindi alla fine del 2020. Il secondo è lasciare il meccanismo in piedi fino alla sua scadenza naturale, quindi fino alla fine del 2021, ma dando una stretta ai requisiti oggi previsti: ad esempio alzando l’età minima da 62 a 63 anni. Il terzo correttivo allo studio è lasciare Quota 100 sempre in piedi fino alla fine ma allungando le finestre, cioè il periodo che deve passare tra il momento in cui si maturano i requisiti per lasciare il lavoro e quello in cui effettivamente si va in pensione.

Le minori spese

Dalle domande inferiori alle attese si è liberato un tesoretto di 2-3 miliardi

I tre interventi, fra loro alternativi, non smonterebbero del tutto Quota 100. Anche se darebbero una stretta significativa. Ma potrebbero essere compensati con un potenziamento delle misure in favore di chi svolge lavori usuranti, che già oggi hanno dei vantaggi sull’età pensionabile, o dell’Ape sociale, che consente di anticipare la pensione alle categorie più deboli come i disoccupati o le persone con disabili a carico.

Sul reddito di cittadinanza i margini di manovra sono più stretti. Soprattutto perché si tratta della misura simbolo del Movimento 5 Stelle, ancora al governo. Due cose, però, potrebbero essere fatte. La prima è un ulteriore rafforzamento delle sanzioni a carico di chi prende il sussidio ma lavora in nero. Oggi è prevista la reclusione da due a sei anni. La seconda, meno scenografica ma forse più opportuna, è un revisione dei criteri per ottenere il sussidio. In questi primi mesi di applicazione ci si è accorti che le regole tendono a svantaggiare le famiglie numerose, premiando invece chi vive da solo. Un effetto non voluto, anzi. Ma causato dalla metodo di calcolo delle graduatorie rispetto all’Isee, l’indicatore che misura la ricchezza dei nuclei familiari. È probabile che questo metodo venga rivisto per riequilibrare i rapporti tra famiglie numerose e single. Naturalmente con un gioco a somma zero: dando qualcosa in più alle prime e qualcosa in meno ai secondi.