Luca De Carolis

Il presidente del Consiglio che dentro i Palazzi sente strane voci su altri premier incontra i partiti per delegazione separate, come se fosse un altro presidente, quello che sta al Quirinale. Invece Luigi Di Maio no, lo convoca da solo, di mattina, nel suo studio a Palazzo Chigi. Perché il capo dei Cinque Stelle è un’altra cosa, è l’avversario che Giuseppe Conte non si aspettava, o meglio non se lo attendeva così, apertamente ostile. Ergo, è il nemico a cui dopo un fine settimana di guerra deve dire di abbassare le armi, prima che sia già troppo tardi. A questo serve l’incontro di circa un’ora e mezza. E in qualche modo funziona, perché tra Conte e Di Maio arriva la tregua: armata, figlia della necessità di governo. Qualcosa di diverso dalla pace. “Tutto abbastanza tr anqu illo ” dirà poi il ministro al suo ristretto giro. Sintesi per un confronto non così tranquillo e non così liscio. Perché Conte all’inizio guarda negli occhi con severità il suo giovane ministro, come farebbe un professore con uno studente troppo vivace. NON HA GRADITO certi toni e certe parole nel duello sulle misure anti-evasione, ovvero su ll’abbassamento della soglia per il contante e le multe per chi non accetti pagamenti elettronici. Norme che per il premier erano pilastri e per Di Maio proprio no, al contrario “misure che criminali zz ano ” piccoli commercianti e artigiani. “Luigi, ho visto sui giornali troppi retroscena contro di me, pieni di accuse” si lamenta (in sostanza) il presidente del Consiglio. E l’appunto al capo del Movimento è chiara, quella di aver ordinato una contraerea in via mediatica. Ma Di Maio non mette la gamba, tenta di smussare: “Diciamo che non ci siamo capiti, ci sono state incomprensioni presidente, ma io non ho ispirato alcun retroscena”. Non dice ciò che pensa, il ministro, ossia che la stilettata di Conte di sabato da Perugia, quella sui grillini che “all’inizio gridavano onestà onestà” è stato un colpo sotto la cintura. Non è questo il momento dello scontro, ha deciso Di Maio. Lo aveva assicurato a qualche big anche prima di iniziare il colloquio: “Riproporrò a Conte le nostre richieste sulla manovra, tutto qui”. E su quello insiste, strappando molto di quanto chiede, a cominciare da una frenata sulle sanzioni per chi non si sia dotato di Pos. Prima, promette il premier, arriverà l’ab b a s s amento delle commissioni bancarie. Però si parla anche di politica, di alleati, cioè di Pd e di Renzi. E Conte e Di Maio arrivano alla conclusione che non c’è altra scelta: “bisogna fare asse” per reggere, per far sì che il governo giallorosso resti a galla. Qualche ora dopo si rivedono nell’incontro tra il premier e la delegazione dei Cinque Stelle, con Di Maio accompagnato dai ministri Federico D’Incà (Rapporti con il Parlamento) e Stefano Patuanelli (Mise), dal sottosegretario Riccardo Fraccaro e dalla viceministra all’Ec o n om i a Laura Castelli. Circa un’ora di colloquio con diversi sorrisi, in cui i 5Stelle chiedono innanzitutto di tenere le norme per il carcere per i grandi evasori dentro il decreto fiscale. Conte annuisce, in attesa di vedere gli altri partiti e del Consiglio dei ministri, in tarda serata. Ognuno recita sua parte per non far affondare la nave. Ma dubbi e sospetti restano sospesi come corvi sopra il patto di giornata. Perché la contesa sulle misure fiscali è stato anche un pesarsi, tra il presidente e il ministro. Con Di Maio che ha ricordato in ogni forma a Conte che a Palazzo Chigi è arrivato grazie al Movimento, convinto che l’avvocato sia ormai schiacciato sul Pd. E il premier che ha indirettamente rinfacciato al capo dei 5Stelle la sua attuale fragilità. Non è un caso che Conte, sempre sabato, abbia invitato a farsi avanti chi “vuole restare nella squadra”. E non parlava solo ai partiti di maggioranza, si rivolgeva anche a tutti quei parlamentari del Movimento che contestano il capo. Diversi dei quali in queste ore hanno inviato messaggi al presidente: “Siamo con te”. DI MAIO LO SAbenissimo, vede il lavorio dietro le quinte. E ha alzato la voce anche per ribadire internamente che il capo è lui, pure per mancanza di alternative. Però i gruppi parlamentari vanno ormai per conto proprio. In Senato, dove gli eletti del M5S hanno fatto muro quasi all’unanimi – tà al ripristino di una parziale immunità per Arcelor Mittal, il colosso che ha rilevato l’ac – ciaieria Ilva a Taranto. E di fatto anche alla Camera, dove oggi i deputati si vedranno in assemblea perché non riescono a eleggere un capogruppo. Troppe divisioni. Tanto più che ora ai due candidati in campo, l’attuale vice capogruppo Francesco Silvestri e Raffaele Trano, membro della commissione Finanze, potrebbe aggiungersi l’ex sottosegretario Davide Crippa. Un altro veterano che descrivono come molto arrabbiato nei confronti di Di Maio. Pesa anche questo, nella dialettica tra il leader e Conte: un punto di riferimento per tanti parlamentari del Movimento. Proprio lui, presidente sempre più terzo.