Luigi Ippolito

Sembrava sul punto di tagliare il traguardo, Boris Johnson. Ma ancora una volta il Parlamento lo ha sgambettato: decretando l’ennesimo rinvio della Brexit, questa volta davvero sul filo di lana. E aprendo così la strada a scenari imprevedibili. Ieri doveva essere il giorno decisivo: i deputati erano stati chiamati ad approvare l’accordo finalmente raggiunto dal p remier britannico con l’Unione Europea. Un voto dai margini ristrettissimi: ma nelle ultime ore sembrava che Johnson ce la potesse fare. In questo modo, la Gran Bretagna sarebbe uscita dalla Ue il 31 ottobre, come previsto: e in maniera ordinata, senza traumi. Con sollievo di tutti, anche degli europei, ormai stanchi di questa saga infinita e desiderosi di concentrare l’attenzione altrove. E invece no: lo psicodramma continua. Perché un gruppo di ex conservatori ribelli (espulsi dal partitoasettembre proprio da Johnson) ha proposto un emendamento che chiedeva di rinviare l’approvazione finale dell’accordo con la Ue fino a quando non fosse stata messa in piedi tutta la legislazione necessaria. Ufficialmente, un modo per assicurarsi che non ci sia un no deal «accidentale», ossia una Brexit catastrofica senza accordi: in realtà, un tentativo in extremis di frustrare l’uscita dalla Ue, innescando un rinvio che potrebbe anche sfociare in un nuovo referendum e, chissà, nella revoca di tutto. Non a caso, quando le immagini della votazione che ha approvato, per pochi voti, il suddetto emendamento sono apparse sul maxischermo della piazza del Parlamento, dove erano convogliati i partecipanti a una nuova marcia anti-Brexit, è esploso un boato di giubilo. Un milione di persone, secondo gli organizzatori — ma è una cifra difficile da quantificare — avevano sfilato nel centro di Londra per chiedere un nuovo referendum sull’uscita dalla Ue: ovviamente, per impedirla. Tanta gente: ma non rappresentativa dell’umore del Paese. Che è ormai stanco, frustrato da questa telenovela senza fine, e dunque vorrebbe voltare pagina e andare avanti. Perché il protarsi dell’incertezza non giova a nessuno. E invece da ieri tutto torna in ballo. Perché Johnson ha dovuto rinunciare a mettere ai voti il suo accordo e la mancata approvazione ha fatto scattare un’altra legge, varata a inizio settembre, che obbligava il premier a mandare una lettera a Bruxelles per chiedere un rinvio della Brexit fino al 31 gennaio. Boris ha subito detto che «non negozierà» una dilazione e dunque prima della mezzanotte ha spedito due lettere all’Europa: la prima, non firmata, in cui si chiede il rinvio; e la seconda, firmata da lui, con la quale invita gli europei a non concedere la dilazione. Martedì il governo proverà di nuovo a sottoporre al Parlamento la legislazione completa per attuare la Brexit: e c’è ancora una possibilità che riescaapassare in tempo per il 31 ottobre. Altrimenti, ci si ritroverà di nuovo tutti nel pantano.