Luigi La Spina

Segnali di fumo arrivano da Torino. Denunciano il rischio che le convenienze politiche delle amministrazioni pubbliche e gli interessi di una società civile concentrata su privati timori possano deturpare il volto e il patrimonio di arte e di cultura di una delle più belle città italiane. Una bellezza, riservata e silenziosa che, trascurata dai grandi percorsi turistici internazionali, incanta e seduce chi ha la fortuna di scoprirla. L’incendio alla Cavallerizza, uno dei tanti gioielli di Torino, nasce per un fenomeno di degrado urbano tollerato da una politica che, sulla meschina bilancia dei costi e dei benefici, almeno quelli immediati, misura solo il peso del consenso. M a anche dall’abbandono di una imprenditoria privata che evita un investimento che non assicuri un tangibile ritorno economico a breve termine. Così, nell’incrocio di interessi convergenti, si può insediare e perpetuare uno spazio di illegalità, un terreno di nessuno, o di chiunque, che fa di un «patrimonio dell’umanità», come è stato riconosciuto dall’Unesco, un’isola, centralissima in città e di grande pregio architettonico, un rifugio di disperazione e di sterile ribellismo. L’accensione mediatica e politica sull’occupazione da parte degli immigrati dell’ex Moi costringe la politica, le fondazioni e la Chiesa ad avviare un piano di sgombero, mentre quella della Cavallerizza viene ignorata dalle amministrazioni pubbliche e rimossa dalla coscienza dei cittadini, come se il patrimonio culturale e artistico che racchiude fosse un lusso che Torino non possa più permettersi. Il pericolo è proprio che queste aree di illegalità e di degrado si moltiplichino in una indifferenza collettiva capace solo di una affannosa ricerca del colpevole di turno, quando i danni sono tali da rompere il muro di silenzi e di complicità. È toccato ieri mattina alla Cavallerizza, ma, per esempio, prima o poi sarà lo stesso per una delle aree più belle della città, il parco del Valentino, abbandonato da anni allo spaccio, al degrado, alla violenza di quella che, con consapevole sottovalutazione, si definisce «microcriminalità». Se la politica, anche quella locale, non riesce a sfuggire dalla miopia dell’interesse contingente ed elettorale, tocca alla società civile incalzarla ad alzare lo sguardo sul futuro di una Torino che, senza la tutela della sua cultura, della sua arte, della sua storia sprofonderà in un declino a cui non bastano le buone intenzioni per esorcizzarlo.