Marco Ansaldo

Ineffabile Erdogan. La Turchia sta piazzando almeno una dozzina di posti d’osservazione in Siria con l’obiettivo, annuncia lo stesso Sultano, «di estendere la zona di sicurezza a 440 chilometri». Dunque, quasi quattro volte tanto del patto raggiunto l’altro ieri con gli americani, che prevedeva 120 chilometri di lunghezza e 32 di profondità. Ma, si sa, in Medio Oriente le variabili possono essere discrezionali, e un Paese che desidera entrare in Europa gioca con le misure e con gli accordi a proprio piacimento. Ci siamo messi nelle mani del Grande Ingordo, lo conoscevamo, e adesso Recep Tayyip Erdogan pare inarrestabile. Non solo soldi in più (ora siamo a 7 miliardi di euro). Ma il presidente turco, come aveva già detto prima dell’operazione militare “Fonte di pace”, dichiara impunemente di volersi allargare. Trump non lo fermerà di certo. E il progetto — sottoposto a opportune condizioni — ma che stronca il sogno del Rojava, la Siria curda del nord, verrà discusso con Putin al vertice che si terrà martedì a Sochi. Quello stesso giorno ci sarà anche la fine delle 120 ore di tregua pattuite. Tregua che, a seconda delle accuse, quasi nessuno sembra rispettare. Il generale curdo Mazloum Abdi lamenta che «i turchi impediscono il ritiro da Ras al Ayn e la partenza delle nostre forze, civili e feriti». Da Ankara il ministero della Difesa ribatte che «in 36 ore» i curdi avrebbero compiuto 14 violazioni. La sensazione netta è che dopodomani qui possano scattare nuovi attacchi aerei e combattimenti. Ieri a Kayseri, in Anatolia, Erdogan facendo il saluto militare come i suoi calciatori ha chiarito così: «Nel minuto in cui scadranno le 120 ore di tregua, se non avranno lasciato la zona, schiacceremo la testa ai terroristi». La tregua fragilissima serve comunque in queste ore ad alcuni Paesi europei per andarsi a riprendere i propri cittadini schieratisi con i jihadisti dell’Isis. Belgio, Francia e Germania stanno facendo rientrare da due campi nel nord della Siria alcuni loro connazionali che negli ultimi anni hanno aderito allo Stato Islamico, ora liberi dal controllo dei combattenti curdi costretti ad abbandonare in fretta la zona. Una delle questioni più dirimenti è se portare le loro mogli, sposate in loco alle quali spetterebbe la cittadinanza.