È vero, gli ostacoli da superare nella strada che il governo italiano sta percorrendo per strappare nuova flessibilità a Bruxelles non mancano, specialmente per lo “sconto” sugli investimenti. Ma dall’Ue c’è «disponibilità ad ascoltare le proposte». Ieri il ministro del Tesoro, Roberto Gualtieri ha incontrato Valdis Dombrovskis a margine dell’Ecofin di Helsinki. Un faccia a faccia di venti minuti che a detta dei diretti interessati è stato «costruttivo». Il che solitamente vuol dire interlocutorio. Non sono circolate cifre, ma soltanto “direzioni di marcia”. Arrivano brutte notizie, invece, per chi in Italia (dal Quirinale a Palazzo Chigi) sperava di trovare sponde nei governi amici per la riforma del Patto di Stabilità: ieri, a sorpresa, è arrivato il “no” di Parigi. Gualtieri ha promesso a Dombrovskis che l’Italia resterà nelle regole. E il vice-presidente della Commissione si è detto «incoraggiato». Niente più strappi, niente più bilanci totalmente fuori dai parametri: Roma punta a spedire a Bruxelles il prossimo 15 ottobre una bozza di bilancio con già in tasca il via libera di massima della Commissione. Anche per evitare il consueto tira e molla autunnale che rischia di mettere Paolo Gentiloni in una posizione scomoda. Dombrovskis non ha escluso a priori l’ipotesi di nuova flessibilità, ma ha passato palla al suo interlocutore: «Gualtieri – dice l’ex premier lettone – si è detto interessato a guardare ad alcune flessibilità che esistono all’interno del Patto di Stabilità». Spetterà all’Italia proporre una soluzione, dopodiché l’Ue dirà cosa si può fare e cosa no. Con un punto fermo: il debito deve essere portato su una traiettoria discendente. C’è però un problema. Il piano per ottenere lo scomputo dal deficit delle spese per investimenti, in particolare quelli “green”, si scontra con le regole attualmente in vigore. A oggi i margini per sfruttare la clausola degli investimenti sono ridotti al minimo, per non dire nulli. L’Italia li ha esauriti nel 2016, quando le era stato concesso lo 0,25% del Pil di flessibilità (anche se poi, a posteriori, la somma effettivamente spesa risultò essere dello 0,2%). Inoltre le norme sono chiare: le uniche spese per investimenti che possono essere dedotte dal deficit sono quelle fatte per progetti co-finanziati dai fondi Ue. La strada è dunque molto stretta. E l’idea di avviare una revisione del Patto di Stabilità, magari inserendo quella “golden rule” sugli investimenti suggerita dall’European Fiscal Board, ieri si è scontrata contro il muro francese. «Si aprirebbe un dibattito lungo e incerto», ha detto il ministro Bruno Le Maire. E allora quale potrebbe essere la via d’uscita? Una soluzione c’è e passerebbe per una nuova comunicazione della Commissione (un atto che diventa immediatamente operativo senza bisogno del via libera dei governi, come era già successo nel 2015). L’esecutivo Ue potrebbe fissare un’interpretazione più elastica del Patto, senza modificarlo, con un focus sugli investimenti nei settori considerati prioritari da Ursula von der Leyen. E il Green New Deal lo è. Per questo l’Italia sta cercando di rivendersi come Paese attento alle tematiche “green”: ieri Gualtieri ha aderito alla Coalizione dei ministri finanziari per la lotta al cambiamento climatico, di cui fanno parte 40 Stati. È stato invece pessimo il clima trovato dal ministro tedesco Olaf Scholz a Helsinki. Il giorno dopo il monito di Mario Draghi, la gran parte dei ministri si è presentata in Finlandia ripetendo che «i Paesi che hanno spazio di bilancio dovrebbero usarlo», cioè spendere di più. Lo stesso Dombrovskis lo ha detto in modo molto chiaro. «È anche nel loro interesse», spiega Mario Centeno, presidente dell’Eurogruppo. «Ormai è diventato un problema politico», rincara il francese Le Maire. Durante il dibattito ci sono stati molti interventi, tutti nella stessa direzione. E, curiosamente, il tedesco Olaf Scholz è rimasto in silenzio, piuttosto isolato. Anche l’altro indiziato speciale, l’Olanda, si è deciso ad accogliere l’invito: previsti un taglio delle tasse e l’istituzione di un fondo per gli investimenti. Ma a Berlino gli alleati della Cdu/Csu di Scholz non ne vogliono sapere.