Marco Bresolin

Uniti nel condannare l’operazione militare turca contro i curdi e le «inaccettabili minacce» di Erdogan. Ma divisi sulle risposte da dare. Mentre in Siria è partita l’offensiva di Ankara, a Bruxelles i governi europei cercano un difficile compromesso. Parigi ha proposto sanzioni economiche, la Svezia un embargo sulle armi (Olanda e Finlandia hanno già annunciato di aver bloccato le vendite). Ma alcuni Paesi – Germania in testa – tirano il freno perché temono ritorsioni. Le differenti posizioni sono emerse ieri mattina durante un vertice tra gli ambasciatori dei Ventotto. Lunedì toccherà ai ministri degli Esteri Ue cercare una soluzione, anche se verosimilmente la palla passerà nelle mani dei capi di Stato e governo che si vedranno al Consiglio europeo di giovedì e venerdì. Non sarà facile trovare una sintesi. «È stato deciso di affrontare la questione con un approccio olistico» spiega una fonte diplomatica europea, riferendosi ai «diversi fronti» che riguardano Ue e Turchia. Non c’è solo la questione siriana, ma anche l’accordo sui migranti e soprattutto le tensioni con Cipro per via delle trivellazioni al largo delle coste dell’isola. A questo si aggiunge il nodo dei foreign fighters catturati dai curdi che l’Europa dovrebbe riprendersi. «L’Ue è unita è solidale con Cipro, la Turchia fermi queste azioni illegali» ha attaccato ieri Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, al termine di un incontro con il premier cipriota Nicos Anastasiades. La disputa sulle trivellazioni si trascina da tempo e i Ventotto avevano già previsto di affrontare la questione al prossimo summit. Nel frattempo è scattata l’operazione militare ed Erdogan è tornato a battere cassa con Bruxelles. Nei prossimi mesi l’Ue verserà l’ultima tranche dei sei miliardi di aiuti pattuiti con l’accordo sui rifugiati del 2016 (mancano poco meno di 200 milioni). Ankara vuole nuovi fondi, altrimenti minaccia di «aprire i cancelli». È chiaro che il contesto attuale rende veramente difficile il via libera a un nuovo esborso. Ma diversi Paesi europei sono terrorizzati da un nuovo afflusso di migranti come quello del 2015. I Visegrad (Ungheria in primis) sono pronti a tutto pur di non assistere alla riapertura della rotta balcanica e quindi stanno facendo il possibile per non irritare Erdogan. Ma a sostenere la linea morbida c’è soprattutto Berlino, per una duplice ragione. Come i Paesi dell’Est teme un arrivo massiccio di rifugiati all’interno dei propri confini. C’è però anche una motivazione più «europea»: «Angela Merkel – fa notare una fonte diplomatica europea – sa benissimo che una nuova crisi migratoria scatenerebbe una crisi politica tra i governi dell’Unione, che si sono dimostrati sin qui incapaci di gestire il fenomeno». L’Ue aprirà dunque il portafogli? Difficile, ma non del tutto impossibile. Di certo Bruxelles non intende finanziare la creazione di una «safe zone» in Siria in cui rispedire i rifugiati che ora si trovano in Turchia, come vorrebbe Erdogan. Ma c’è anche l’idea di consentire un’apertura di credito in modo da controbilanciare alcune misure punitive, introdotte come segnale politico. Certo, con una mano punire Ankara e con l’altra allungare nuovi fondi sarebbe paradossale. Ma al momento non si può escludere nulla. La ministra francese Amélie De Montchalin ha confermato che l’ipotesi di introdurre sanzioni economiche per l’operazione in Siria «è sul tavolo». Luigi Di Maio si è detto pronto a sostenerle, ma per il via libera serve l’unanimità e dunque l’intesa appare difficile. Possibile invece una serie di sanzioni «mirate e limitate», destinate a determinati soggetti privati e imprese che sono coinvolti nelle trivellazioni.