Marco Bresolin & Paolo Mastrolilli

«Noi preferiamo la pace alla guerra, ma se un’azione militare dovesse diventare necessaria, dovete sapere che il presidente Trump è pienamente pronto ad intraprenderla». L’avvertimento che il segretario di Stato americano Pompeo ha inviato ad Ankara, durante un’intervista alla Cnbc, è il più duro lanciato da Washington dall’inizio della crisi siriana. Il capo della diplomazia ha ribadito che gli Stati Uniti non hanno mai dato il via libera alla Turchia per l’offensiva, finalizzata a creare una zona cuscinetto nel territorio di Damasco, per allontanare le milizie curde dal confine. Ieri il «New York Times» ha scritto che il vero obiettivo di Erdogan è ottenere le armi nucleari, per cambiare gli equilibri in Medio Oriente. Pompeo ieri ha ripetuto che il governo Usa vuole usare il negoziato o la pressione economica delle sanzioni, per risolvere la crisi, ma non esclude l’uso della forza se diventasse necessario. Trump è stato criticato dagli stessi repubblicani per aver ritirato i soldati, ma poi ha inviato il vice Pence e Pompeo ad Ankara per mediare la tregua in corso di attuazione. Quindi ha detto che i soldati ritirati dalla Siria non torneranno a casa, ma andranno nel vicino Iraq. La Turchia però continua a sfidare gli Usa. «Tutto l’Occidente, compresi gli Stati della Nato e dell’Ue, ci ha attaccato ed è al fianco dei terroristi». L’affondo lanciato ieri da Erdogan è durissimo e il timing non è casuale: oggi il presidente turco incontrerà a Sochi Vladimir Putin, con il quale parlerà delle «misure necessarie» da prendere nel Nord-Est della Siria. Stasera alle 21 (ora italiana) scadono infatti i cinque giorni di tregua decisi giovedì e fonti di Ankara assicurano che «non ci sarà un’ulteriore proroga». La Turchia vuole il ritiro delle milizie curde dalla zona di sicurezza che Erdogan intende creare al confine, un’area di 32 chilometri nella quale la Turchia punta a reinsediare parte dei 3,6 milioni di rifugiati siriani accolti in virtù di un accordo con l’Ue. Mentre la ministra della Difesa tedesca, Annegret Kramp-Karrenbauer, ha chiesto ieri l’istituzione di una zona di sicurezza sotto controllo internazionale «nelle regioni della Siria al confine con la Turchia». La proposta sarà formalizzata alla riunione dei ministri della Difesa degli Stati Nato il 24 e 25 ottobre. Il presidente turco ieri ha lanciato un appello agli Stati Uniti, chiedendo di favorire il ritiro dei curdi. Diversamente, minaccia, «l’operazione ripartirà». L’unico che potrebbe fermarla sembra essere proprio Putin (che ieri ha avuto un colloquio telefonico con Macron), il quale dovrà cercare un difficile compromesso tra Erdogan, Assad e i curdi. Ankara accusa le forze dell’Ypg (Unità di protezione popolare) di aver violato «36 volte la tregua» ed è pronta a far ripartire l’attacco. Ma Trump sostiene che «il cessate il fuoco regge» e che le milizie della Ypg stanno lasciando alcune zone «in maniera intelligente». Il presidente Usa è poi tornato, a modo suo, sull’accusa di aver pugnalato i curdi alle spalle: «Non avevamo mai detto che saremmo rimasti 400 anni a proteggerli». Ieri un centinaio di mezzi americani ha lasciato la Siria per dirigersi verso l’Iraq. Il Pentagono sta valutando la possibilità di lasciare alcune truppe a guardia dei giacimenti petroliferi nel Nord-Est, accanto alle forze turche, per proteggerli da un’eventuale incursione Isis.