Marco Galluzzo e Monica Guerzoni

L’immunità penale garantita ai commissari di Ilva è «un privilegio» e come tale «il Parlamento, che è sovrano, lo ha eliminato». Questa dichiarazione Giuseppe Conte la rilasciò al G20 di Osaka e chissà se oggi la difenderebbe, visto che ArcelorMittal ha ufficialmente legato la decisione di abbandonare il campo al nodo dell’immunità. Non è stato un fulmine a ciel sereno, eppure l’annuncio dell’addio ha precipitato il governo nel caos, scatenato le opposizioni e allarmato il Quirinale. Molto preoccupato per la decisione degli indiani, che mette a rischio più di un punto di Pil e oltre diecimila posti di lavoro, Sergio Mattarella si è sentito più volte con il premier, auspicando la massima attenzione al dossier e rimarcando che la continuità aziendale non può essere messa in discussione. È in gioco una grande filiera produttiva ed è in gioco il destino del governo: sia Salvini che Renzi hanno invocato all’unisono una soluzione e invitato Conte a riferire immediatamente in Parlamento. Il governo è consapevole che Ilva è un asset strategico del Paese e che lo scontro politico rischia di mettere in difficoltà seria la stessa tenuta dell’esecutivo, eppure i due vertici di emergenza al ministero dello Sviluppo economico e poi a Palazzo Chigi, con cui i gialloverdi hanno rimandato al mittente le ragioni dell’azienda, non sono bastati a risolvere il rebus. La soluzione al momento appare lontana. I tecnici del Mise e quelli di Palazzo Chigi la cercano affannosamente studiando con la lente norme e cavilli giuridici. Il ministro Patuanelli, che ha in mano il dossier, ha dichiarato che l’azienda sta usando quello dello scudo penale come «una foglia di fico». Ma nel fuoco amico di queste ore, che ha scatenato un bombardamento di sospetti e accuse incrociate, lo stesso Patuanelli è finito nel mirino del Pd. Raccontano che due settimane fa, nel chiuso del Consiglio dei ministri, il responsabile dello Sviluppo abbia tranquillizzato i colleghi: «ArcelorMittal non lascerà Ilva se salta lo scudo penale, ho avuto rassicurazioni da loro, non ci saranno conseguenze…». Sottovalutazione o doppio gioco? Conta poco la replica che filtra da Palazzo Chigi, che gli indiani sono «molto spregiudicati», che hanno «sbagliato il piano industriale», conta poco perché non è con le accuse incrociate che la questione si può risolvere. C’è anche da sottolineare che il governo, prima quello fra Lega e Movimento, poi il Conte 2, non ha mai avuto le idee molte chiare sulla questione. Il nodo dello scudo penale è stato pensato e ripensato più volte, dando anche la sensazione evidente di una mancanza di indirizzo politico. Il governo Conte 1 aveva ridotto nel perimetro lo scudo, ma non l’aveva abolito, poi lo aveva reinserito con un salvo intese. Uno stop and go culminato il 22 ottobre, quando è stato definitamente abolito con un emendamento al decreto imprese, votato anche da Pd, Italia viva e dai 5 Stelle. Le scorie di quel voto non sono state ancora smaltite, anzi stanno generando lo scaricabarile e le accuse incrociate fra membri del governo, forze di maggioranza e di opposizione. Con il paradosso che anche chi ha votato per togliere lo scudo penale per i dirigenti dell’azienda, dal Pd ai renziani — sino all’ormai famoso drappello di senatori del Movimento 5 Stelle, capitanato da Barbara Lezzi — parla ora di inaccettabilità della decisione dell’azienda. Conte ha convocato per oggi pomeriggio i vertici aziendali del gruppo franco-indiano, per metterli alle strette e verificare se esistano margini per un ripensamento. La convinzione del governo è che reintrodurre lo scudo non basterebbe a trattenerli, perché le vere ragioni dello strappo sono economiche e non giuridiche. «Gli indiani hanno sbagliato il piano industriale», è il ritornello amaro dei ministri giallorossi. Da Palazzo Chigi filtra la possibilità di un intervento normativo, forse un decreto legge, che potrebbe approdare già sul tavolo del Consiglio dei ministri di domani, ma che non riguarderebbe soltanto Ilva: si pensa a una norma più generale per tutelare aziende nelle stesse condizioni di Ilva, a garanzia degli investitori. Pubblicamente il capo del governo ha dedicato solo un tweet al caso Taranto, promettendo che farà di tutto per tutelare investimenti produttivi, livelli occupazionali e proseguire il piano industriale. Non è chiara però la soluzione che l’esecutivo potrà adottare di fronte ad una decisione irrevocabile da parte degli indiani. Tra un vertice e l’altroèspuntata l’ipotesi di un intervento economico statale (ma con quali soldi?) e qualcuno ha proposto di ripescare Jindal, il gruppo sconfitto da ArcelorMittal. «La situazione è grave», ha ammesso preoccupato il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, uscendo da Palazzo Chigi.