Marco Rogari & Gianni Trovati
L’unificazione di Imu e Tasi rientra ufficialmente nel pacchetto fiscale della manovra insieme al taglio del cuneo. L’indicazione arriva dal viceministro all’Economia Antonio Misiani (Pd), che conferma anche i dubbi sull’estensione a 100mila euro del forfait al 15% già previsto per le partite Iva (Sole 24 Ore di domenica). In epoca giallo-verde la «nuova Imu» era stata promossa dalla Lega, con un Ddl che però era già approdato al Mef per le verifiche e le correzioni del caso. Il cambio di maggioranza non azzoppa il progetto perché «è di assoluto buonsenso», sostiene Misiani. Il dossier fiscale sarà al centro questa mattina del nuovo incontro a Palazzo Chigi fra il premier Conte e i sindacati per far ripartire il confronto sulla legge di bilancio. Mentre nelle stanze dell’Economia è in pieno corso la caccia alle coperture. Molte ancora da individuare. Anche perché un obiettivo giudicato realistico a livello tecnico assegna al massimo 5-6 miliardi all’accoppiata di spending review e riordino delle tax expenditures. Prima dell’estate, le ipotesi targate Tria erano più ambiziose, e puntavano fino a 10 miliardi. Ma la nuova spending ha già mostrato quest’anno le sue difficoltà attuative, al punto che il Def si era limitato a programmare altri 2 miliardi per il 2020. E il taglio a sconti e deduzioni, eterna ipotesi mancata nelle manovre di questi anni, diventa ancora più difficile da praticare se non è accompagnato da un progetto di riduzione Irpef. Dagli sconti “settoriali”, a partire dagli ormai famosi Sad (sono gli sconti «ambientalmente dannosi») cari soprattutto ai Cinque Stelle, difficilmente potranno arrivare più di 1-2 miliardi. Ipotesi e calcolatrici lavorano comunque a pieno regime, in vista della Nota di aggiornamento al Def che il governo dovrà presentare entro il 27 settembre. Sulla Nota, chiamata a dettagliare i nuovi numeri di finanza pubblica, pendono una notizia buona e una cattiva. La prima è data dall’ulteriore riduzione dello spread, che nonostante qualche oscillazione si è ormai consolidata e prospetta risparmi per 3,5-4 miliardi rispetto ai calcoli di aprile (quando il differenziale con i Bund oscillava fra i 250 e i 270 punti). Ma questo ossigeno è quasi integralmente assorbito dal taglio delle stime di crescita tendenziale per l’anno prossimo, che nella Nadef dovrebbe attestarsi a 0,2-0,3% contro lo 0,6% scritto ad aprile. Colpa prima di tutto delle variabili internazionali, che fra petrolio e guerre commerciali aumentano ogni giorno le incognite sul quadro macroeconomico. Il problema che è ogni punto di crescita in meno si trasforma in mezzo punto di deficit nominale in più. E in un contesto del genere diventa ancora più complicato mettere insieme tutti i tasselli della manovra senza portare il deficit nominale 2020 sopra la quota 2-2,1% intorno a cui si sono concentrati i primi scambi di vedute in Europa. Tra effetto trascinamento della correzione di luglio, risparmi aggiuntivi su quota 100 e reddito di cittadinanza e raffreddamento degli interessi sui titoli di Stato il disavanzo di partenza dell’anno prossimo potrebbe attestarsi fra l’1,4 e l’1,5%. Ma i soli aumenti Iva da fermare (23,1 miliardi) pesano per l’1,25% del Pil, e anche per una manovra minimal bisogna aggiungere al conto almeno 3-4 decimali di Pil per cuneo fiscale e altre spese, indifferibili o discrezionali. Per il momento la colonna delle misure antideficit vede circa 5-6 decimi di Pil sparsi fra tagli di spesa, tax expenditures e nuove entrate dalle misure anti-evasione in chiave digitale. Per arrivare al traguardo, insomma, servirà altro. E il ministro dell’Economia Gualtieri, che ieri ha avuto con il direttore generale dell’Esm Klaus Regling un incontro definito «costruttivo», dovrà frenare le spinte di molti suoi colleghi di governo, che dall’istruzione (3 miliardi per gli insegnanti) alla sanità (800 milioni per l’addio al super-ticket) hanno già fatto partire il pressing per chiedere nuove misure di spesa.