Marco Ruffolo
L’evasione corre sulle tre cifre, il recupero dell’evasione su due. Ogni anno lo Stato non riesce a incassare 109 miliardi, tra imposte e contributi. Ogni anno ne recupera 16, saliti ultimamente a 19 solo grazie a rottamazioni e condoni. Malgrado i recenti progressi, la montagna dell’infedeltà fiscale è ancora là, integra e minacciosa. E ci impedisce di andare avanti, in tutti i sensi. Facile il conto di cosa potremmo fare con 109 miliardi: tagliare le tasse riducendo il cuneo fiscale di dodici punti (quelli che ci separano dalla media Ocse), ma anche disinnescare l’aumento dell’Iva e coprire al tempo stesso il fabbisogno che serve per rimediare al dissesto idrogeologico e per mettere in sicurezza le scuole italiane. Resterebbero persino una ventina di miliardi per ridurre il deficit di oltre un punto percentuale. Sogni? Sicuramente. Ma per qualcuno non del tutto. Nel suggerire una manovra-monstre contro l’evasione fiscale Romano Prodi ha ripreso un progetto che qualche anno fa l’ex ministro Vincenzo Visco aveva proposto partendo dall’imposta che più di ogni altra si presta ad essere evasa: l’Iva. Nel complesso, avremmo potuto recuperare tra 50 e 60 miliardi. Iva, autonomi e imprese L’Iva, in effetti, occupa il primo posto nell’evasione made in Italy: 35 miliardi. Seguita a ruota dall’Irpef di lavoratori autonomi e imprese: 34 miliardi. Staccate: Ires, Irap e Imu con gettiti mancati tra 5 e 7 miliardi. Se guardiamo invece la propensione a evadere, balza in testa l’Irpef non pagata da autonomi e imprese: ogni cento euro dovuti, ne sfuggono 67. Ma in termini assoluti, il buco nero più profondo è quello dell’Iva. Su questo terreno, gli ultimi governi non sono stati in realtà con le mani in mano. Anzi, una delle colonne portanti del piano Visco è una misura che il governo Gentiloni ha già introdotto: l’estensione della fatturazione elettronica a partire dal gennaio 2019 anche tra i privati con partita Iva. Il vantaggio? La trasmissione in via telematica al fisco delle informazioni contenute nella fattura, consente controlli in tempo reale e impedisce così l’omessa dichiarazione di cessioni e acquisti regolarmente fatturati. Che è il sistema più usato per evadere l’Iva. I risultati dei primi mesi sono positivi, tanto che malgrado la stagnazione dei consumi, il gettito Iva per gli scambi interni sta salendo del 3,6%, e i 2 miliardi in più preventivati nel 2019 potrebbero in realtà raddoppiare alla fine dell’anno. Le armi spuntate Tutto bene, dunque? Non proprio: recuperare due o quattro miliardi è poca cosa se vogliamo arrivare ai cinquanta complessivi. In realtà, nel suo piano Visco parla di 14 miliardi ottenibili con la fatturazione elettronica, ma avverte anche che a questo si può arrivare estendendo la misura a tutte le partite Iva e prevedendo sanzioni più forti di quelle attuali. Oggi invece ben 2,2 milioni di contribuenti sono esentati dal nuovo obbligo: tutte le imprese e i lavoratori autonomi in regime forfettario o di vantaggio, i medici, le farmacie, i piccoli produttori agricoli, le società sportive dilettantistiche. Insomma, con una mano si impugna una efficace arma anti-evasione e con l’altra la si spunta subito, escludendo soprattutto le categorie che già pagano le tasse a forfait o in regime di favore. Categorie che il governo giallo-verde ha contribuito ad ampliare. Producendo nuove discriminazioni a danno dei lavoratori dipendenti con lo stesso reddito e creando nuove finte partite Iva. Come è ridotto il Grande Fratello Anche un’altra arma anti-evasori rischia di non dare i frutti sperati. Ricordate le grida all’indirizzo del “Grande Fratello Bancario”? In realtà l’anagrafe dei rapporti finanziari, che otto anni fa il governo Monti tentò di mettere in piedi, oggi è ben diversa dal Superfisco-spione che spulcia meticolosamente tra i saldi e le giacenze bancarie di tutti noi. Questa volta, a spuntare la nuova arma degli 007 tributari è intervenuta l’Autorità per la Privacy, che con ripetuti ostacoli ha praticamente neutralizzato la nuova anagrafe. Solo ora si muove qualcosa ma è nulla di più di una piccola sperimentazione: qualche centinaio di lettere ad altrettanti contribuenti con un limitatissimo numero di operazioni consentite. Eppure le nuove tecnologie permetterebbero un massiccio utilizzo e incrocio dei dati finanziari senza compromettere la sicurezza delle operazioni. Insomma, sembra di capire che i nuovi e più ampi margini di azione contro gli evasori consentiti dalla tecnologia si scontrino con ostacoli in parte burocratici e in parte politici. In questo scenario, resta appesa la sorte di altre proposte non meno importanti: lo scontrino telematico (che metterebbe in comunicazione le casse dei negozianti con l’erario); l’imposizione Iva spostata dal venditore al compratore (la sua sperimentazione con la pubblica amministrazione, ossia lo split payment, ha dato buoni risultati); l’accorpamento della stessa Iva a due sole aliquote per evitare l’arbitraggio tra acquisto e vendita; un sistema generalizzato di ritenute ai fini delle imposte sui redditi; la riduzione dell’uso del contante. Proveremo a introdurre tutte queste misure con un po’ di coraggio, o resteremo ancora una volta immobili davanti alla montagna?