Marco Travaglio
Facciamo così. Siccome il cosiddetto “ergastolo ostativo” –cioè vero, senza sconti né scappatoie –l’hanno inventato Falcone e Borsellino e l’hanno ottenuto soltanto nell’agosto del 1992, da morti ammazzati per mano della mafia, chi non è d’accordo la smette di tirare in ballo Falcone e Borsellino quando parla di lotta alla mafia. Per un minimo di coerenza, e anche di decenza, chi lo considera – come la Corte di Strasburgo e la sua Grande Chambre –una forma di tortura, una violazione della Costituzione, una negazione del valore rieducativo della pena, un ricatto per estorcere confessioni, un’istigazione alla delazione, liberissimo: ma deve prima ammettere che Falcone e Borsellino, oltre a tutti i magistrati e i giuristi vivi che ne condividono i metodi, erano aguzzini, torturatori, ricattatori e violatori della Carta. Già, perché purtroppo la demenziale doppia sentenza di Strasburgo, che giudica contrario alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo l’ergastolo ostativo, ha raccolto molti e trasversali consensi in Italia. Fra i tanti, quelli di Luigi Manconi su Repubblica, del rag. Claudio Cerasa e Giovanni Fiandaca (quello che “Il processo Trattativa è una boiata pazzesca”) sul Foglio, di Vittorio Feltri e Filippo Facci su Libe ro (solo che a Facci un collega dispettoso ha messo un titolo alla rovescia, “L’Europa dà una mano a mafiosi e brigatisti”, e ci ha pure azzeccato), di Mattia Feltri su La Stampa, di Tiziana Maiolo sul Du bb io, di Mauro Palma sul manifesto. Oltre ovviamente ai mafiosi e i terroristi coi loro avvocati e amici: ma questi almeno si capisce perché non sopportano l’ergastolo. Gli altri un po’ meno. Intanto sarebbe ora di chiamare le cose con il loro nome. L’ergastolo ostativo è una trovata all’italiana per definire ciò che nei paesi seri si chiama ergastolo e basta. Se l’ergastolo è la condanna a vita, l’aggettivo “ostati – vo”non ha senso. Se non devi uscire mai, non esci mai: punto. Sennò che ergastolo è? Invece in Italia non c’è nulla di più provvisorio delle sentenze definitive e nulla di più temporaneo dell’eternità. Siamo il Paese dell’“en – tro e non oltre” e del “severa – mente vietato”. E nel Codice penale l’unica certezza della pena è che non verrà eseguita. Quella scritta nelle sentenze non corrisponde mai a quella che espia il condannato. Fino a 4 anni di “reclusione” si resta a casa o ai servizi sociali, cioè fuori: con tanti saluti alla reclusione. E dalle pene superiori ai 4 anni vanno detratti i 4 anni di non-reclusione più i 45 giorni a semestre di “liberazione anticipata” per buona o regolare condotta (3 mesi all’anno: un quarto della pena).
A nche per gli ergastolani. Che, nella sentenza hanno “fine pena mai”, ma nella realtà “fine pena sempre” o “v e di amo ”, con 4+X anni d’ant ici po (dipende dell’età al momento della condanna). Fino all’altro giorno l’unica certezza, nell’in – certezza, era che dal 1992 i benefici non si applicavano ai detenuti per i reati più gravi: tipo mafia, terrorismo, sequestro di persona, traffico di droga e (grazie alla legge Spazzacorrotti del 2018) tangenti. Il che, almeno per quel tipo di ergastolani, rendeva l’ergastolo una cosa seria: cioè “fine pena mai” non trattabile. A meno che, si capisce, non dessero segni concreti di ravvedimento collaborando con la giustizia per aiutare lo Stato a reprimere e prevenire reati. Ora, improvvisamente e inopinatamente, questo principio di minima civiltà diventa un “trattamento inumano o degrada nte ” per mafiosi e terroristi ergastolani. Che, secondo le Corti europee, meriterebbero permessi premio, liberazione anticipata, lavoro esterno, semilibertà e altre scappatoie anche se non collaborano. Anche i mafiosi che restano mafiosi, essendo noto a tutti – fuorché a quelle anime belle –che si è mafiosi a vita (“fine mafia mai”) e si smette di esserlo soltanto in due modi: morendo o collaborando. Il che rende surreale, ai limiti del Comma 22, tutto il dibattito s ul l’ergastolo “os ta ti vo ”, cioè vero, che impedirebbe la “rie – ducazione” e la “riabilitazione” del condannato. Intanto perché ci si può riabilitare e rieducare in carcere, come dimostrano i numerosi casi di ergastolani che studiano, si diplomano, si laureano, partecipano a percorsi riabilitativi e rieducativi nelle strutture interne dei penitenziari, senza uscire di galera. Ma soprattutto perché, almeno per chi è inserito in organizzazioni fondate sull’omertà – come quelle terroristiche, quelle mafiose e quelle tangentizie – l’unico sistema per uscirne è quello di parlare, dei propri delitti e di quelli dei complici, rendendosi inaffidabile ai loro occhi e dunque uscendo dal giro. Se un mafioso, un terrorista o un tangentista non denuncia i suoi complici, rimane un terrorista, un mafioso o un tangentista a tutti gli effetti (anzi, ancor più potente e più influente di prima sugli impuniti rimasti liberi grazie al suo silenzio). Dunque non si è affatto rieducato né riabilitato. Perciò non ha senso contestare l’ergastolo ostativo perché non aiuta la rieducazione, quando tutti sanno che è l’unica arma per spingere alcuni ergastolani a rieducarsi davvero, cioè a parlare, per accedere ai benefici. Ma questo, obietta Feltri jr., è “un ricatto di Stato”! Se ci riflettesse, potrebbe dirlo per tutte le pene di tutti i Codici penali: se commetti quel reato, ti metto in galera per tot anni. In realtà sono semplici avvertimenti a scopo deterrente rivolti ai criminali. Che, se delinquono, sanno benissimo a cosa vanno incontro. Sta a loro scegliere. Se sono mafiosi o terroristi e commettono omicidi o stragi, sanno che finiranno al l’ergastolo vero, cioè non usciranno più se non con le gambe davanti. E, se vorranno uscire da vivi, dovranno dire tutto ciò che sanno. In ogni caso non sarà lo Stato che li ha ricattati o torturati. Saranno loro che se la sono cercata.