Maria Teresa Meli
Anche la pazienza di Nicola Zingaretti ha un limite. Fedele al motto da lui stesso coniato —«Mite sì, ma non fesso» —, il segretario del Partito democratico ormai mal sopporta l’andazzo che sembrano aver preso il governo e la maggioranza. Non si sta parlando solo dell’atteggiamento del leader di Italia viva Matteo Renzi che con le sue incursioni, secondo il governatore del Lazio, sembra avere come unico scopo quello di mettere «in difficoltà il Pd» con «un’operazione di basso livello». No, ormai da qualche tempo in qua Zingaretti non è convinto nemmeno del comportamento di Giuseppe Conte. Sia chiaro, al segretario del Partito democratico non passa per l’anticamera del cervello l’idea di sostituire il premier, però vorrebbe un maggiore interventismo da parte di Giuseppe Conte nei problemi che si aprono ormai sempre più spesso in seno alla maggioranza. «Non possiamo essere sempre e solo noi i responsabili. C’è chi avrebbe il compito di mediare e non di tenersi defilato», ha confidato Zingaretti ai suoi. Poi, intervistato a di Martedì su La7, aggiunge. «Ci sono troppe polemiche. Si può governare insieme da alleati, non da nemici». Insomma, il governatore del Lazio, che non avrebbe voluto dare vita a questo governo, non ha nessuna intenzione di trovarsi nelle condizioni di essere l’unico ad appoggiare l’ esecutivo, mentre gli alleati lo cannoneggiano ogni giorno con il fuoco amico. C’è un altro aspetto dell’attuale gestione che non convince Nicola Zingaretti. Quando si decise di dare vita a questo esperimento con il Movimento 5 Stelle si era stabilito che il governo avesse un’unica cabina di regia per la comunicazione per evitare le fughe in avanti dei vari esponenti dell’esecutivo. Ma questo accordo è rimasto lettera morta e il giornaliero profluvio di dichiarazioni di ministri, viceministri e sottosegretari impensierisce Zingaretti. Dunque il leader del Partito democratico non è più disposto a fare sempre e comunque da scudo umano a Giuseppe Conte. A ognuno il suo ruolo e la sua «responsabilità». Ma non sono solo questi i crucci del presidente della Regione Lazio. Se da una parte il leader del Pd vede rafforzata la sua posizione nel partito, dove ormai anche gli ex renziani suonano la sua musica e dove ieri la commissione ad hoc ha approvato all’unanimità la riforma dello statuto fortissimamente voluta dal segretario, dall’altra vede sfilacciarsi i rapporti con i 5 Stelle. Zingaretti è rimasto negativamente sorpreso dalla repentinità con cui Luigi Di Maio ha bocciato ogni ipotesi di alleanza con il Pd per le prossime Regionali (ponendo un veto anche all’ingresso dei 5 Stelle nella maggioranza della Regione Lazio). Eppure Zingaretti e Di Maio si erano parlati a tu per tu ed erano rimasti d’accordo su questa linea: si sarebbe andati avanti comunque, anche in caso di un risultato negativo in quella Regione che, peraltro, era ampiamente prevedibile. «È un problema di affidabilità». Tra l’altro, come è noto, sulle elezioni in Emilia-Romagna si gioca la tenuta di questo governo e dello stesso segretario del Partito democratico. Per questa ragione al Nazareno di giorno in giorno sale la tensione. Anche se giusto ieri l’ex ministro leghista dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio confidavaauna parlamentare del Pd: «In Emilia noi non ce la faremo».