Maria Teresa Meli

ROMA Non hanno propriamente l’aria di chi festeggia, i parlamentari del Pd, anche se alcuni deputati si spellano letteralmente le mani per applaudire Giuseppe Conte.

Nicola Zingaretti, che ha seguito il discorso del premier dal suo ufficio alla Regione Lazio, appare comunque convinto della bontà di questa operazione: «Bene il discorso di Conte, adesso bisogna lavorare». Ma sotto traccia c’è un certo imbarazzo dei parlamentari del Pd per l’alleanza con l’«arcinemico dei 5 Stelle», anche se i saluti romani dei manifestanti davanti a Montecitorio aiutano i deputati a motivare il perché della loro scelta di formare il governo Conte. Il disagio, però, persiste. Persino Matteo Renzi, che ha aperto la strada a quest’operazione, ammette: «Umanamente e personalmente mi costa molto, ma voto la fiducia». E i parlamentari renziani lesinano gli applausi al premier. Ma non è solo quella componente a nutrire comunque una certa diffidenza e a voler procedere con grande cautela. Alla Camera il vice segretario unico Andrea Orlando, pur convinto che «Conte abbia preso nel suo discorso la maggior parte dei nostri punti programmatici», dispensa consigli ai colleghi: «Prudenza…», esorta.

Già, i vertici del Partito democratico vogliono evitare il rischio che il Pd si faccia fagocitare dai grillini nel corso del tempo. Per il momento, comunque, la preoccupazione dei dirigenti dem è quella di evitare frizioni con gli alleati, perché il governo deve durare il più possibile. Altrimenti questa operazione non servirà a nulla. A questo ci pensa il capodelegazione al governo Dario Franceschini. Il ministro dei Beni culturali riunisce gli altri titolari dei dicasteri nella sala del governo, a Montecitorio. Un incontro di 45 minuti per far capire a tutti che prima ancora della cabina di regia dell’esecutivo ci vuole quella del Pd, perché nessuno giochi da solo andando allo scontro con i grillini. Ci vuole «uno spirito di coalizione», esorta Franceschini. E aggiunge. «Dobbiamo coordinarci il più possibile con gli alleati». L’obiettivo è quello di «superare il modello del governo gialloverde», per avere il più possibile un approccio «condiviso», «evitando prese di posizione in antitesi». Insomma, è il messaggio del ministro dei Beni culturali, i dem al governo dovranno innanzitutto coordinarsi tra di loro ma anche con i 5 Stelle.

Alla riunione sono presenti tutti i ministri: Roberto Gualtieri, Paola De Micheli, Lorenzo Guerini, Teresa Bellanova, Elena Bonetti, Enzo Amendola, Peppe Provenzano e Francesco Boccia. Si dicono d’accordo con il loro capodelegazione. Non è un caso che Zingaretti abbia voluto proprio Franceschini in quel ruolo. Lo ritiene capace di mediare e trattare. E di fare il contraltare di Conte. E infatti il ministro per i Beni culturali ha chiesto e ottenuto un ufficio a palazzo Chigi in quanto capo delegazione del Pd.

Una scelta che può apparire irrituale, ma che la dice lunga sulla determinazione di Franceschini (e del Pd tutto) di non farsi estromettere dalla stanza dei bottoni.