Maria Teresa Meli

Non sono bastati nemmeno il pianto di Andrea Marcucci e le lacrime di Anna Ascani: sui renziani rimasti nel Pd continua ad aleggiare loro malgrado il sospetto che prima o poi raggiungano il leader di un tempo. O che giochino di sponda con lui spiazzando il partito. Infatti le ultime mosse dell’ex premier, come quella di bloccare la rimodulazione dell’Iva, hanno messo in difficoltà i dem. Non solo: Renzi ha sorpreso Andrea Orlando dando ragione al ministro Alfonso Bonafede sul metodo del sorteggio per i membri del Csm. Ironica la replica del vice segretario del Pd: «Sulla giustizia non è l’unica affinità tra i due». Dunque, i vertici del Pd sono preoccupati per le uscite dell’ex segretario. E Matteo Renzi non li rassicura quando annuncia al Foglio: «Questa nostra casa si ingrandirà, avrà a breve più di cinquanta parlamentari, centinai di sindaci, una cinquantina di consiglieri regionali, migliaia di amministratori e soprattutto un sacco di comitati e di semplici iscritti». A dire il vero la maggior parte dei renziani fa mostra di non volersene andare. Però non c’è niente da fare: i dubbi e le voci sirincorrono. E non è sfuggito a nessuno l’accenno di Orlando nell’ultima Direzione. «Chi è indeciso se restare o meno lasci gli incarichi». Affermazione riferita ai dirigenti locali, poi rettificata dallo stesso vice segretario, ma che la dice lunga sull’aria che si respira al Pd. Guardata come una sorta di «quinta colonna» dell’ex premier, l’ala renziana (o almeno gran parte di essa) in realtà ha rotto da tempo con il «capo». Più precisamente dal novembre del 2018, quando in un convegno a Salsomaggiore il leader spiegò che ormai si stava disimpegnando dal partito e che perciò occorreva che ognuno nuotasse da solo: lui sarebbe rimasto in disparte. E quando, nel luglio di quest’anno, l’ex premier ha cominciatoaconcretizzare la nuova operazione, non ha nemmeno chiesto di seguirlo a chi sapeva che non lo avrebbe fatto. Non a Lorenzo Guerini che gli aveva spiegato il suo punto di vista: «Secondo me così dividi solo il campo riformista del Pd». Non a Luca Lotti : «Matteo stai sbagliando». O ad Andrea Marcucci: «Io ti rispetterò sempre, ma stai commettendo un errore». Con la scissione, dunque, c’è stata una rottura politica vera tra Renzi e i «suoi». Non è stata una finta. Renzi conosceva bene la situazione quando ha deciso di procedere. E non è un caso perciò che alla fine non abbia voluto sponsorizzare la candidatura di Anna Ascani per un dicastero, preferendole l’attuale ministra per la Famiglia Elena Bonetti. La prima infatti è rimasta, mentre la seconda lo ha seguito in Italia viva. E certamente l’ex premier non si aspettava che Dario Nardella si imbarcasse nella stessa sua avventura. Il sindaco di Firenze glielo ha spiegato e Renzi gli ha risposto. «Va bene così». Comunque Nardella alla Leopolda ci andrà, come primo cittadino del capoluogo toscano. Qualche delusione, però, l’ha avuta anche l’ex presidente del Consiglio. Era convinto che Salvatore Margiotta, sottosegretario del governo giallorosso, andasse con lui, ma così non è stato. Nemmeno Patrizia Prestipino, neodeputata ultrà renziana si è ancora mossa. Eppureatutte le kermesse dell’ex segretario era sempre in prima fila. Voci dai palazzi raccontano di un possibile abbandono del senatore Tommaso Nannicini, però lui smentisce con forza: «Io resto». Un tam tam dava in allontanamento anche Emanuele Fiano, che replica secco: «È una voce del cavolo». E se si chiede a qualche esponente di Italia viva chi saranno i prossimi parlamentari del Pd che aderiranno al nuovo soggetto politico si ha come risposta per lo più un «boh». Non lo sanno sul serio, non arriva nessun altro o i nomi sono «coperti» fino alla Leopolda di ottobre per decisione del regista della kermesse fiorentina Matteo Renzi?